Mag 062011
 

La carta e il territorio, di Michel Houellebecq, Bompiani, 2010, 360 pagg. €16.00

★★★☆☆

Bene, ora che il gran polverone alzato dall’imponente opera di promozione prima e dalla critica letteraria poi si è finalmente posato, si può affrontare con maggiore serenità l’ultimo lavoro di uno dei maggiori scrittori contemporanei. Credo che Houllebecq sia punto di riferimento imprescindibile per qualsiasi narratore intenzionato ad affrontare i temi più pregnanti della società postindustriale, tardocapitalistica o… come diavolo la si voglia chiamare, insomma quella in cui viviamo.
Nei suoi primi tre romanzi (Le particelle elementari, 2000; Estensione del dominio della lotta, 2001; Piattaforma,2003, tutti per Bompiani) la spietatezza del linguaggio e delle vicende, strutturate per analizzare dal di dentro decadenza e disfacimento, sono esemplari e paradigmatiche. Sono certo che ogni scrittore intellettualmente onesto sarebbe più che orgoglioso di aver dato sostanza letteraria ad un pensiero così semplice, eppure così complesso, come quello che alla base di queste opere.
Il senso di smarrimento, alienazione e confusione dell’essere umano nella società tardo capitalistica dell’occidente, sono le tematiche centrali dello scrittore francese… e scusate se è poco. Come ci è facile notare e come è ampiamente rappresentato nei primi tre romanzi di Houllebecq, la sola spinta interiore in questa enorme confusione/mancanza di ruoli certi/assenza di valori assoluti, viene dal sesso. Un sesso anch’esso dai contorni confusi, spesso mercenario, raramente espressione di un sentimento e che qualcuno potrebbe definire perverso, ma comunque spinta vitale, motore di attività, movimento, ricerca.
In “La carta e il territorio” quest’elemento viene a mancare in maniera pressoché totale e naturalmente non è un caso. La conclusione a cui giunge il lettore è ovvia: per l’autore o, più propriamente, ciò che l’autore ci vuole suggerire, è che neppure il sesso può più rivestire alcuna importanza. Sarebbe banale attribuire questa presa di posizione all’età non più verdissima di Houllebecq, o comunque ad un suo ridotto appetito sessuale. E’ possibile che questo possa aver influito, almeno a livello superficiale, ma non credo sia la motivazione principe. Se nelle opere precedenti si respirava decadenza, agonia di una civiltà, insoddisfazione e noia di vivere, in quest’ultimo romanzo l’aria è satura di odore di morte, di terra smossa per la tumulazione, di fiori ormai appassiti. Non è un caso che Houllebecq stesso sia tra i personaggi del testo e che sia assassinato per sottrargli un quadro che lo ritrae. E non è un caso neppure che questo dipinto finisca nelle mani un collezionista squilibrato. Nei testi di Houllebecq nulla avviene per caso, anche la frase o il vocabolo apparentemente meno significativi hanno un ruolo, uno scopo, una ponderatezza che li rende unici. Dal punto di vista della godibilità, della tensione narrativa e della lettura di livello superficiale, l’ultima opera dello scrittore francese è di molto inferiore a quelle citate in precedenza. Certe scelte, come quella di rendersi personaggio del proprio romanzo o di introdurre altri personaggi realmente esistenti, lasciano perplessi, ma forse questo avviene soltanto perché non se ne è capito fino in fondo lo spirito.
Detta in estrema sintesi, questo romanzo appare contemporaneamente un passo avanti ed uno indietro. L’autore sposta in avanti, quasi cronologicamente, la propria visione dell’uomo nella società occidentale: dalla noia all’isolamento totale, dalla malattia alla morte, dalla spinta sessuale alla mancanza di essa, ma senza la forza dirompente, sia nel linguaggio che nell’intreccio, che avevano contraddistinto le sue opere migliori. Sarebbe facile definirlo un romanzo importante ma stanco, in questo molto simile a “La possibilità di un’isola”, ma è senz’altro possibile che il tono dimesso, l’osservazione meno diretta e coinvolta, non siano altro che una scelta espositiva coerente all’affrontare la visione di Houllebecq.
Da un punto di vista assolutamente personale, spero soltanto che questo smisurato autore possa ancora darci molti altri romanzi su cui riflettere, a volte indignarci e senz’altro discutere, perché una delle poche certezze è che con un romanzo di Houllebecq non si rischia mai di annoiarsi o di pensionare il cervello.
Un’ultima raccomandazione. Come mi è capitato di fare per l’ultimo romanzo di John Irving, consiglio vivamente di arrivare a leggere quest’opera dopo aver apprezzato e goduto degli altri testi migliori dello stesso autore che, in questo caso, sono i tre citati all’inizio

Recensione di Daniele Borghi

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