Ago 022015
 

Piersandro Pallavicini. Una commedia italianaFeltrinelli, 2014. 309 pag. 17 euro.

★★★☆☆

 

Piersandro Pallavicini. Una commedia italianaL’io narrante di questo romanzo è una professoressa universitaria di chimica e, al contrario di quanto sarebbe logico aspettarsi, non è né noiosa né cattedratica. E’ anzi una voce frizzante, ricca di divagazioni piacevoli e argute anche se, a volte , un po’ troppo insistente sulle difficoltà di essere una donna all’interno di una struttura universitaria fortemente maschilista. Essendo l’autore un uomo, la cosa suona un pelino ruffiana e infastidisce leggermente, se l’autrice fosse stata davvero una donna penso il lettore sarebbe stato più incline all’indulgenza.

Comunque, questo è senz’altro è un aspetto marginale, non certamente centrale. Per tutto il resto della narrazione, Pallavicini mantiene saldo il timone e mantiene una direzione precisa senza sbandamenti e cadute di tono o di tensione narrativa, conducendo con decisione il lettore all’approdo deciso alla partenza.

La struttura del testo è particolarmente interessante. In sostanza si tratta di uno svolgersi degli eventi al presente intrecciati con due sottonarrazioni in flash back distinti. Una riguarda gli eventi di pochi mesi precedenti ed è concentrata in pochi giorni, la seconda è una sorta di libro di ricordi più lontani ed ha un tempo narrativo molto più ampio. Raccontata in questo modo sembra una cosa molto più complicata di quanto sia in realtà, anche perché Pallavicini è stato abilissimo nel fondere questi tre diversi “tempi” e a  farli convivere armoniosamente, scivolando dall’uno all’altro in modo convincente e mai forzato.

E’ probabilmente questa particolare struttura a rendere maggiormente godibile il romanzo e ad arricchirlo di rimandi tra presente e passato: immaginando una narrazione cronologica sono certo che il testo sarebbe stato molto meno piacevole, rischiando addirittura di generare noia.

In estrema sintesi si può senz’altro dire che questo è un romanzo riuscito. Certo, non è Roth e neppure l’Irving dei bei tempi andati, autori che sapevano succhiare il midollo dalle famiglie che andavano a raccontare, ma Pallavicini ha il merito di non provare a scimmiottare autori che non sono nelle sue corde e, così facendo, riesce a trovare un punto di vista personale su ciò che narra e, soprattutto, nel modo in cui lo fa.

Michael Chabon. Telegraph Avenue. Rizzoli, 2013. 592 pag. 20 euro

Traduzione: M. Colombo e M. Birittari

★★★½☆

 

Michael Chabon. Telegraph AvenueSe un romanzo di impianto tradizionale può essere paragonato ad un pranzo altrettanto tradizionale, con antipasto primo, secondo, contorno, dolce e caffè, questo lavoro di Chabon può essere paragonato ad un pantagruelico buffet dagli innumerevoli piatti, gusti, ingredienti e profumi. Esattamente come accade quando si partecipa a questi ricevimenti, il rischio è quello di lasciarsi sopraffare dalla gola e dalla voglia di assaggiare, mangiando  molto più di quanto si è soliti fare.

“Telegraph Avenue” è un romanzo che va oltre la sazietà: abbuffa.

Certo, molto meglio un romanzo che fa impennare colesterolo e trigliceridi che un romanzo “fettina e insalata” ma a volte si ha la sensazione che tutto quel che Chabon riversa sulla pagina sia ridondante, magmatico, dettato dall’intenzione di non trascurare neppure il minimo particolare. Tanto per fare un altro parallelo: non voglio dire che il Barocco sia sgradevole, ma se a Bernini preferisco Mies Van der Rohe o Gropius nessuno può farmene una colpa.

Alla fine si va sbattere sempre nello stesso angolo senza via d’uscita: questione di gusti. E il fatto che questi ultimi non siano un interessante oggetto di discussione è stato capito talmente tanto tempo fa che di solito questo concetto si esprime in una lingua serenamente spentasi secoli fa.

Chabon è uno scrittore esuberante, che si esprime con una continua esondazione di parole, dotatissimo e generoso. Ma a Chabon piace mettersi in mostra, sottolineare la propria abilità di scrittore, e se non c’è nulla di male nell’essere bravissimi, l’ostentazione non fa parte dell’elenco dei miei comportamenti preferiti. Anche questo è discutibile, lo so. Se Messi dribbla mezza squadra avversaria e va in porta con il pallone non si può dire che ostenti la sua tecnica, sta solo facendo meravigliosamente bene il suo lavoro, ma tutto questo, se accade, si verifica di tanto in tanto , non continuamente. Forse è proprio questo che lascia lievemente perplessi in questo romanzo di Chabon: la continua ricerca dell’effetto, della frase mai banale, dei personaggi mai “normali” ma sempre e comunque sopra le righe. In estrema sintesi si può senza dubbio consigliare Chabon a chi ama nuotare nei mari degli aggettivi, fare escursioni nei boschi delle divagazioni e, anche  se nulla di questo romanzo ha da spartire con quel tipo di romanzi, anche a chi ama il “realismo magico” di alcuni scrittori latino americani. Al contrario, chi ama un tipo di scrittura più asciutta,  (e quando si parla di scrittori “asciutti” il primo che viene in mente è Carver) è meglio che si tenga alla larga da questo romanzo, rischierebbe di affogare o di perdersi.

Camilla Lackberg. Il segreto degli angeliMarsilio, 2015. 482 pag. 19 euro

Traduzione: Laura Cangemi

★½☆☆☆

 

Camilla Lackberg. Il segreto degli angeli.Questo romanzo, ottavo episodio di una numerosa serie e appartenente alla ormai famigerata “scuola scandinava”, è molto simile ad una fiction di Rai1. Ne ha lo stesso passo stancamente prevedibile,  la struttura rigida come un burattino con l’artrosi e la stessa scarsissima fiducia nel lettore- spettatore a cui l’autrice, ad ogni piè sospinto, non perde occasione di ricordare e sottolineare quanto già detto e ridetto nelle pagine precedenti. Non solo è un romanzo dalle inesistenti qualità di scrittura, ma a volte sembra quasi che l’autrice si ingegni per rendere più banale anche quel poco di non banale che le è involontariamente sfuggito.

Nel duemilaquindici non avrei potuto immaginare che una scrittrice di fama mondiale (siamo davvero caduti in basso) potesse partorire frasi come queste: “Spesso fare ricerche su casi molto vecchi era come comporre un gigantesco puzzle…. fino a quel momento era stato così, ma sperava di raccogliere presto altre tessere in modo da capire cosa raffigurava il puzzle”.

A parte il “raffigurava” che stride come un un cacciavite su una lavagna, è possibile immaginare qualcosa di più trito, frusto e consunto? Una roba del genere sarebbe giustificata soltanto se a dirla fosse un personaggio secondario, un idiota di passaggio, uno da far comparire come un perfetto imbecille che l’autrice vuol far apparire ridicolo. Invece no, a pronunciarla è la voce narrante del romanzo, che cerca di somministrarcela come una perla di saggezza.

Andare in libreria, pagare un libro e trovarci dentro una cosa del genere è esattamente come andare in un forno, comprare un pane che si immagina fresco e croccante e trovarsi a mangiare una cosa sfornata dieci giorni prima, rafferma e ammuffita. Forse si potrebbe obiettare che una frase infelice non può essere la cartina al tornasole di un testo di 482 pagine, ma io non sono di questo avviso.

A parte quanto scritto nelle prima righe di questa recensione (e già quello basterebbe) frasi del genere stanno a testimoniare quanto l’autrice e gli editor tengano in considerazione i lettori. Se nel 2015 qualcuno scrive per la miliardesima volta quella robaccia, non ci può essere altra reazione che sentirsi offesi, quasi umiliati nella propria intelligenza di lettori.

Naturalmente questo non impedirà alla signora Lakcberg, che è una specie di Camilleri al femminile e svedese, di partorire altri capolavori da cui saranno tratte altre sceneggiature e altri film per la tv, con buona pace di chi ancora cerca nei romanzi qualcosa che somigli ad un modo di vedere e descrivere il mondo.

Aldo Nove. La vita oscenaEinaudi, 2010. 111 pag. 15.50 euro

★★½☆☆

 

Aldo Nove. La vita oscenaQuesto testo di Aldo Nove, è diviso esattamente in due parti, molto diverse da loro e anche di diverso interesse per il lettore. Nella prima metà l’aspetto più evidente è la ricerca di una forma espressiva a cavallo tra narrativa e poesia, una sorta di prosa poetica che mai scivola nel banale, nel retorico o nel consueto ed è sempre attentissima a evocare, suggerire e mai a dire. Non a caso Nove è sostanzialmente un poeta, e quando riesce a dar vita ad un testo evocativo e non descrittivo si trova certamente a suo agio. Nella seconda, la narrazione cambia completamente volto e diventa una elencazione di peripezie, esperienze e dis-avventure di sesso a pagamento con contorno di infinite sniffate di cocaina, sbronze e canne.

Poco importa se questo romanzo (per semplicità lo si può definire così) sia veramente la biografia degli anni giovanili di Nove, sia più o meno veritiera o sia completamente inventata, questo cruccio lo si può lasciare ai pettegoli della letteratura, quelli che si affannano a cercare di capre chi sia Elena Ferrante, quel che interessa è la notevole cesura tra una parte e l’altra del racconto. Se la prima colpisce per la precisione, per la nitidezza della immagini, la seconda, tranne che per un bellissimo microcapitolo finale, lascia perplessi. Non è una questione di “morale” o di “buon gusto”, è solo una questione di tensione narrativa e di capacità trasferimento al lettore.

Sapere dove, con chi e come è venuto Nove o chi, dove, come e quando è venuto dentro Nove, francamente non interessa più di niente. Anche se a tratti l’autore cerca di motivare e descrivere emotivamente il lungo elenco dei disparati incontri sessuali, questi ultimi sembrano quasi un menù con tutte le portate più consuete (trans, coppia di donne, un uomo e una donna, mistress che lo umiliano ecc. ecc.) e non  riescono a coinvolgere emotivamente.

Ovviamente non è difficile capire il disagio del narratore che si avventura in situazioni limite, ma questo, a differenza di quanto accade nella prima parte, non è accompagnato dalla lucentezza del testo, dal suo acume disperato.

Forse Nove voleva rappresentare l’assenza emotiva del suo protagonista, o forse desiderava non dar voce interiore e spessore psicologico a quella peregrinazione nel mondo del sesso a pagamento, non posso saperlo, ma dopo avere letto una prima parte così intimamente precisa, quasi letterariamente chirurgica, passare repentinamente ad un altro registro sorprende non positivamente il lettore.

rubrica a cura di Daniele Borghi

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