Lug 032012
 

Tre volte all’alba, di Alessandro Baricco. Feltrinelli, 2012 – 94 pagine, 10 euro.

½☆☆☆☆

Mi ero ripromesso di non leggere mai più della roba messa in vendita da Baricco e invece ci sono ricascato, purtroppo certe volte i libri mi si mettono così di traverso sulla strada che non riesco a evitare di leggerli. Questo mi è arrivato in regalo in un periodo in cui non avevo avuto tempo per fare la solita scorta in libreria e si è autoeletto libro da leggere, se non altro per assenza di candidati. Baricco, nella prefazione, ci spiega che questa cosa che ci rifila è una specie di spin off. Dato che nel suo romanzo precedente (“Mr. Gwin”, per fortuna evitato) aveva parlato di un libro che si chiamava “Tre volte all’alba”, ha pensato che scriverne uno che avesse quel titolo fosse una buona idea. Quando si dice l’urgenza creativa… Sempre nella prefazione ci racconta che lo ha scritto con grande diletto. Già questo dovrebbe mettere in guardia il potenziale lettore: chi è che ancora usa la parola diletto? La mia risposta, nel caso in cui qualcuno fosse interessato, è la seguente: soltanto un sedicente scrittore che sceglie le parole sul vocabolario dei sinonimi e contrari perché la sola cosa che lo può caratterizzare è l’uso di termini inconsueti, magari un filino démodé.
Come si può intuire dal titolo, Tre volte all’alba, è formato da tre racconti non interdipendenti tra loro in cui, guarda caso, le storie si svolgono più o meno all’alba e hanno come unico punto in comune quello di prendere il via nella hall di un albergo. A raccontarla così sembra in tutto e per tutto l’esercizio di un corso di scrittura creativa, il guaio è che anche il risultato finale somiglia molto ad un esercizio. E di sicuro non tra quelli meglio riusciti.
Le storie non esistono. Sono abbozzate, rozze, sciatte, supponenti, esangui e così sfibrate che definire trama quel che succede equivale a chiamare poesia i testi di Gigi D’Alessio. I personaggi sono pallide ombre su un fondale nebbioso e confuso e la scrittura che dovrebbe animarli è emotivamente piatta, artificiosa, calligrafica, pallida come il viso di un vampiro. Sarebbe il caso che qualcuno spiegasse a Baricco che il lirismo non è indefinitezza, casomai il contrario, ma essendo lui stesso ad insegnare scrittura nella scuola più conosciuta e rinomata d’Italia, dubito che questo possa accadere. Volendo riassumere in poche parole il sentimento che ho provato dopo aver letto questo librucolo non posso evitare di sceglierne solo due: infinita tristezza. E subito dopo, ma proprio dopo pochi secondi, l’infinita tristezza provata per la povertà di quanto si è letto, si trasforma in profonda irritazione. E questa irritazione quasi feroce proviene dalla netta sensazione di essere presi per il culo. Non in giro: per il culo! Dieci euro di carta straccia, 94 pagine (ma i racconti iniziano a pagina 15) di cui quattro completamente bianche, altre riempite a malapena per metà, tempo di lettura totale settanta minuti. E, come se non bastasse, l’ineffabile Baricco ci commina una prefazione in cui viene SPIEGATO (!) il testo, casomai il lettore non arrivasse a capire un’opera così articolata, complessa, ponderosa e profonda.
Non conosco Baricco, ma se avessi l’opportunità di parlargli vorrei chiedergli alcune cose. Lui scrive su “Repubblica” e, anche per altri motivi, immagino si definisca un uomo di sinistra. Alla luce di questo vorrei rivolgergli un paio di domande.
La prima. Non ritiene che la rendita culturale di cui gode (e da cui discendono le sue copiose vendite), nel momento in cui viene così vergognosamente sfruttata sia peggiore di tutte le rendite di posizione che sono così numerose nel nostro paese?
La seconda. Qual è la differenza tra lui e Bruno Vespa? Tra lui e il tragicomico illustratore di plastici, esattamente, dove risiede la diversità?
Entrambi somministrano alle persone quello che vogliono, come un medico di base prescrive farmaci inutili all’anziano di turno che si lamenta dei dolori articolari. Nel primo caso storiacce di nera camuffate da approfondimento e nel secondo paccottiglia di finto e urticante lirismo spacciata per letteratura. Nel caso di Baricco, ad ulteriore impietosa beffa, dobbiamo anche assistere ad una sorta di beatificazione in vita da parte di tutti i talk show pseudointellettuali e di sinistra.
Mi viene un’altra domanda: cosa abbiamo fatto di male per meritarci questo?

Recensione di Daniele Borghi

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