Lug 252013
 

Roma, Auditorium Parco della Musica, Cavea, 1 luglio 2013

★★★★☆

Nella consueta, splendida cornice della Cavea dell’Auditorium Antony Hegarty, che fortunatamente sembra amare molto la città di Roma, ci ha offerto un altro indimenticabile, suggestivo concerto, con una esibizione magistrale inerente il suo nuovo lavoro “She’s so Blue, che propone una rivisitazione emozionale ed originalissima di molti classici della musica soul, che in qualche modo ne hanno influenzato la vita artistica, in uno splendido e poetico omaggio all’eterno femminino, come ci ha dichiarato a metà concerto in una bellissima prolusione.

La crescita spirituale ed artistica di questo gigante della musica contemporanea rifulge ad ogni concerto di un sempre più magico e sconfinato splendore. Artista totale, con esperienze di teatro, performing art, sperimentazione della vocalità, emana una crepuscolare fascinazione, che permea interamente lo spettatore portandolo ad uno stato di magia dell’anima, ad una sorta di sublime incantamento.

Mentore dell’Avanguardia di New York, ammirato da Lou Reed e Laurie Anderson, definito da Diamanda Galas, “la voce che contiene tutte le emozioni del pianeta”, l’artista è divenuto in pochi anni, dopo l’opportunità offertagli da David Tibet dei “Current 93”, che produsse il suo primo disco, attraverso l’unicità della sua voce che ha realizzato l’avvento di una nuova era del canto, uno degli interpreti più profondi ed autentici della attuale cultura poetica romantica. La sua straordinaria capacità di entrare in sintonia con il pubblico, anche con quella parte che non lo conosce, determina nell’ascoltatore una sottile, crescente tensione emotiva.

La cover che apre il concerto è letteralmente da brivido: “For All We Know”, straordinaria canzone d’amore di Billie Holiday: la grande cantante, che conobbe fin da bambina una tragica esistenza, stabiliva in questo brano con il pubblico un rapporto intimo e commosso. Ebbene, l’omaggio di Antony, accompagnato dalla sua piccola orchestra, The Johnsons, interpreta e stravolge il brano conferendogli una magia ed uno spessore spirituale ancora più profondo.

“Returnal”, tratta dal repertorio dell’artista d’avanguardia newyorkese Oneohtrix Point Never, mirabile punto di incontro tra i corrieri cosmici tedeschi ed una nuova estetica ambient new age, è meno passionale dell’originale, e forse, più ricostruita in vitro, appare un po’ scolastica.

“A Child of God (It’s Hard To Believe)” hit della vulcanica e sensuale Millie Jackson, lirico, avvolgente, duro brano sulla alienazione e la violenza dei rapporti familiari, risuona di aspra poesia, “As Tears Go By”non ha nulla da invidiare alla stupenda canzone blues rock dei Rolling Stones e di Marianne Faithfull, risultando al contempo più languida e carica di pathos.

La performance acquisisce un andamento dolce e solenne, Antony ci regala anche alcuni dei suoi più famosi brani, come “Cripple and the Starfish”, fortemente emozionale, che valorizza la vena più intimistica del nostro, mettendone in rilievo la teatrale gestualità, mentre “You are My Sister”, dedicata alla anziana sorella, che eseguì a suo tempo con Boy George, che considera spiritualmente affine, è uno splendido gospel di speranza e pace. “Cut The World”, nella quale l’Artista sottolinea la necessità di non subire gli eventi, ma di lottare, scrollandosi di dosso ogni passività appare come una perla di rarefatto lirismo.

“For Your Precious Love” di Otis Redding, capolavoro soul che celebra l’amore, è intensamente drammatica, densa di un potente afflato lirico, “A Dream” di Donny Hathaway, altro grande cantante e pianista della “black music” è soffusa e sognante, “A Cruel Mother” di Shirley Collins, rivisita mirabilmente la tradizione folk inglese, utilizzando una dolce ballata di forte influenza bluesy, mentre “I Will Survive”, il bellissimo hit di Gloria Gaynor, il ritorno alla vita di una donna dopo la dolorosa conclusione di una storia d’amore, rivive di emozionale, sconfinato splendore.

Lunga e trascinante l’esecuzione della cover di Jimmy Scott “Motherless Child”,doloroso inno della tradizione spiritual, risalente all’era degli schiavi, che Antony dedica a tutti i bimbi gay del mondo, citando tutte le nazioni ove sono discriminati, compresa l’Italia. “Someday Someway”, con un sublime accompagnamento pianistico, recupera e trasfigura poeticamente un hit delle misconosciute Marvellettes, ensemble femminile di rhythm and blues, mentre“It Will Be Your Will”, ballata struggente di Leonard Cohen, che narra la difficoltà, la sofferenza dei rapporti umani, affascina e commuove.

Il concerto si conclude: richiamato a gran voce Antony ritorna sul palco e ci regala ancora “Candy Says” dei Velvet Underground, doce, delicata ballata che Lou reed dedicò al transessuale Candy Darling, che fu una figura di spicco della Factory di Andy Wahrol, per concludere con “Hope’s There Someone”, stupefacente inno minimalista, lirico, poeticissimo, dove egli canta la speranza che qualcuno si prenda cura di noi dopo la morte, quando dovremo abbandonarci, far riposare la nostra mente, perdere l’amore, rivelando di essere spaventato dall’idea di rimanere in “middle place”, tra la luce ed il nulla assoluto. Abbandoniamo la cavea abbagliati, ancora una volta, dall’arcano splendore e dalla magnificenza della sua musica.

Voce di grande impatto emozionale, come poche nel passato, essa trova la sua migliore realizzazione nel connubio melodico con archi e piano, in una dimensione quasi cameristica che i Johnsons interpretano alla perfezione. Egli ad un certo punto rende un omaggio tangibile alla sua orchestra, inginocchiandosi davanti a loro, quasi in un atto di religiosa omelia, dopo aver liberato centinaia di colombi che si librano nell’aria in uno splendido, per niente retorico, anelito di pace.

Drammaticamente sospeso tra Luce e Tenebra, questo vibrante, visionario artista conoscitore di William Blake rappresenta, in ogni sua performance, il dolore del mondo ed il suo possibile riscatto, inviandoci un messaggio profondo di serenità e dolcezza, in questo caso riposto nella potenza dell’elemento femminile, ancestrale nutrimento, forza suprema della Natura ed origine della Madre Terra. Difficile rilevare in un unico artista una tale sommatoria di dolore, speranza, desiderio, passione, malinconia, che, invece, nella complessità musicale di Antony Hegarty si fondono mirabilmente, realizzando un miracolo poetico di arcana, stupefacente luminosità.

Recensione di Dark Rider foto da fanart.tv

Antony voce, pianoforte
Steven Bernstein direttore musicale, trombone, trombone sovrano, flicorno contralto
Julian Joseph pianoforte, organo elettrico
Douglas Wieselman clarinetto, clarinetto basso, sax tenore e baritono
Renaud- Gabriel Pion clarinetto basso, flauto basso, sax baritono, corno inglese
Leo Abrahams chitarra
Bradley Jones basso
Kenny Wollesen batteria, percussioni, vibrafono

Scaletta:
For All We Know
Returnal
Child of God
Cripple and the Starfish
As Tears Go By
Your Precious Love
A Dream
Cut The World
Cruel Mother
I Will Survive
You Are My Sister
Motherless Child
Someday Someway
If it Be Your Will
Candy Says
Hope There’s Someone

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