Mar 122010
 


★★★☆☆
Roma, Auditorium Parco della Musica, 28 febbraio 2010
Nella splendida cornice della sala Santa Cecilia dell’Auditorium di Roma, il 28 febbraio scorso si è celebrato l’attesissimo ritorno sulla scena romana di Paco de Lucia. Il sommo chitarrista, colui che ha inventato una nuova tecnica, che è riuscito a tirare fuori dallo strumento suoni che mai prima di lui si erano sentiti così puliti, vigorosi e rotondi, non tornava a Roma da tanti, troppi anni.
La Sala dell’Auditorium popolata da un pubblico eterogeneo probabilmente più legato alla cultura della chitarra che a quella del flamenco, vibrava di aspettative già sapendo che avrebbe assistito ad un concerto memorabile.
Perchè Francisco Sanchez Gomez in arte Paco de Lucia è stato protagonista assoluto, nonché inventore, della cosiddetta contaminazione: la sua chitarra ha incontrato a partire dagli anni ‘70 altre prestigiosissime chitarre provenienti da ambienti culturali diversi come i ritmi brasiliani o il jazz di Chick Corea, Al Di Meola e John Mc Laughlin. Il concerto quindi per certi versi non ha riservato sorprese ed è stato assolutamente in linea con il suo cammino e con tutta la sua carriera. Carriera che è stata però molto più interessante di quanto non sia apparso nella sua ultima apparizione all’Auditorium.
Di lui rimangono indimenticabili i contributi che ha dato alla musica classica spagnola di Albeniz e De Falla portando la tecnica più spigolosa della chitarra flamenca nei suoni dolci e addolorati del classico ispanico come testimonia il famosissimo “Concierto de Aranjuez” di Joaquim Rodrigo.
Sul palco si è esibita una rosa di musicisti di altissimo livello; alcuni tipicamente flamenchi come la seconda chitarra Niño Josele, il percussionista Piranha, e i due cantaores Duquende e David de Jacoba. Altri più insoliti da trovare nei gruppi ortodossi di questa arte come il tastierista Antonio Serrano che ha suonato anche l’armonium, e il bassista Alain Perez. Tra questi hanno lasciato il segno Antonio Serrano che come entrava con l’harmonium faceva risuonare in sala atmosfere jazz, e i due cantaores dai timbri diversi ma ugualmente seducenti che avevano invece il compito di ricondurci alle più solide radici gitane. Il tutto è stato arricchito dai contributi di altissima qualità del ballerino Farruco che si è speso moltissimo in difficili bulerie per la gioia del pubblico che ha apprezzato oltremodo i suoi inserti danzati.
Ma dopo tanti anni le infiltrazioni jazz nel compas flamenco, o le bulerie che sanno di sound brasiliano, non bastano più a soddisfare chi vuole a tutti i costi sentire che le innovazioni di un tempo rimangono attuali. Non a caso il pubblico chiedeva al chitarrista di suonare i pezzi più famosi dell’intera sua produzione – uno tra tutti “Entre dos Aguas” – tutti risalenti agli anni ‘70 o ‘80.
Le sue composizioni a cavallo di diversi generi musicali, molto incentrate sulla sua tecnica raffinatissima, hanno fatto scuola e appartengono alla storia della musica. Merito di Paco de Lucia è stato senza ombra di dubbio quello di aver traghettato la cultura flamenca e soprattutto la sua splendida chitarra fuori dai confini spagnoli. Ha reso noto a tutto il mondo quanto la tradizione gitana avesse da dire e da insegnare alla musica in generale; per far questo ha dovuto però smussare alcuni aspetti di quest’arte che non avrebbero potuto confluire in nessun’altra cultura. Aspetti che lui però conosce a meraviglia, basti riascoltare alcuni brani in cui suonava con Tomatito e con Camaron de la Isla. Quello è flamenco. E a volte c’è bisogno tra una contaminazione e l’altra di ritornare alla base, a quell’arte imponderabile e difficile che però ha dato sapore e colore a tutti quei brani che in questi quasi quaranta anni hanno costruito la fortuna e il successo di Paco de Lucia.
Ecco: forse questo è mancato al concerto. L’artista ormai sessantatreenne è apparso meno brillante del solito, quasi come se non si divertisse più a suonare. Anche con il pubblico è rimasto un po’ troppo sulle sue accontentandosi di farsi adorare senza creare una complicità più intima.
Il tutto è stato assolutamente ottimo, ma è mancato lo stupore. Da lui ci si aspettava questo e questo ci ha dato, ma non ci ha regalato niente di più.
Sarebbe fantastico vederlo tornare e proporci un concerto di vera ortodossia flamenca, senza neanche un suono che si allontani dalla più pura tradizione di una cultura che in Italia ancora troppo pochi conoscono. Questo sarebbe un nuovo Paco de Lucia, un ritorno al suo lontanissimo passato che però ci riempirebbe le orecchie di qualcosa di veramente innovativo.

Recensione di Claudia Pignocchi
foto di der_makabere e ynadamass

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