Gen 022013
 

Roma, Teatro Vascello fino al 4 gennaio

★★★★★

Eccolo qui, il nuovo ideogramma partorito dalla coppia artistica Antonio Rezza e Flavia Mastrella. Dopo 7-14-21-28 , la coppia intitola ancora una volta l’opera con un simbolo, nell’apparenza matematico, nella sostanza deleterio. La X infatti non è un’incognita, ma indica eliminazione, annullamento dell’essere umano, affondato dal binomio forma-demenza (che magari appare bello ma di per sé è inconsistente), dalla perdita di personalità e da un’arte finta o assente. L’habitat allestito da Flavia Mastrella parte quasi spoglio; spiccano solo due pareti. Inizialmente anche il corpo è assente dalla scena, dominata da un telecomandato. L’ingresso del corpo di Rezza dura poco, la scena si vuota nuovamente, facendo arrivare in sala solo significanti urlati (tra lo sghignazzo generale del pubblico in sala). Una scultura in tessuto offre l’occasione a Rocco e Rita (entrambi interpretati da Rezza) di confondersi fino al punto di diventare parodia di loro stessi. E, dopo che una coppia trova il collante del loro sodalizio nella passione per lo stesso dessert, dalle pareti si inizia a districare la X, e l’eliminazione dell’individuo ha luogo. L’individuo, rappresentato da Ivan Bellavista (che, nonostante muto riesce a mettere in mostra le sue eccellenti doti interpretative), è dilaniato da ansia, parenti ed istituzioni, che vanno tutti ad impiantarsi nel corpo di Rezza. Giungiamo al momento geniale dello spettacolo. Tre personaggi sul palco (Rezza, Bellavista ed il telecomandato Timoty Granger) a parlare e litigare tra loro, ma con un’unica voce, quella di Rezza. Ci si arrabbia con colui che dà la voce, accusato appunto di dare la voce e manipolare il pensiero altrui, ma la voce che si arrabbia è quella del manipolatore. E quando il tranello diventa evidente, la cosa degenera, arrivando a coinvolgere anche il pubblico. C’è tempo per un po’ di religione, o meglio per la demolizione della stessa, con un dissacrante parallelismo tra il Signore e Barbapapà, e con la presenza di Rita da Cascia, che si sofferma in particolar modo sulla sua residenza, nonché di carmelitane che riducono la preghiera ad un suono reiterato. E poi il finale inconsueto. Il corpo si ferma, e l’attenzione si rivolge agli spettatori, che, inquadrati da un grosso specchio, diventano loro malgrado protagonisti di una storia, le cui vicende e dialoghi sono dettati esclusivamente dall’autore. Insomma, dopo un attore che recita con la voce non sua, anche gli spettatori diventano marionette. Ma è così grande il divario tra teatro e vita reale? “Fratto_X” si basa sugli stessi aspetti della produzione precedente della coppia Rezza-Mastrella: partenza da un habitat in cui prende vita il corpo di Rezza, la cui performance è esaltata dal suo ineguagliabile utilizzo di mimica e voci contraffatte, assenza di una trama narrativa, buona dose di provocazione, il tutto che porta a divertire lo spettatore. Lo spettatore, da parte sua, è talmente coinvolto dal ritmo incalzante con cui avviene tutto ciò, da non avere il tempo di fermarsi a riflettere, ma è costretto a farsi trascinare da quello che sta succedendo sul palco. Un gioco che avviene molto bene in “Fratto_X”, che probabilmente, insieme a “Fotofinish” è il punto più elevato della produzione di Rezza e Mastrella. E questo anche per gli elementi di originalità e di innovazione rispetto alle opere precedenti: la coppia artistica ne ha cacciati altri fuori dal cilindro, come l’abbandono del palco e soprattutto la recitazione di Ivan Bellavista, che da muto diventa parlante, anche se con voce non sua. Probabilmente a fare la differenza è proprio Ivan, il cui talento in “Fratto_X” emerge tutto, dalla presenza scenica all’espressività.

Recensione di Andrea Longobardo

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