Lug 272009
 

Roma, Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, 18 luglio 2009
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★★★★½

Un vento estivo rinfresca i numerosissimi presenti, venuti ad applaudire i Mogwai, nello splendido scenario della Cavea dell’Auditorium, quasi completamente piena. Il grande gruppo scozzese, indiscusso portabandiera della scena post-rock britannica, torna a Roma dopo tre anni di assenza (nel 2006 fecero addirittura due date: al Qube in aprile e al teatro romano di Ostia Antica in settembre), e reduce dalla pubblicazione, nel settembre del 2008, del nuovo bellissimo album “The Hawk Is Howling”, interamente strumentale, il cui tour promozionale aveva già toccato Bologna e Milano lo scorso febbraio e che in questa estate del 2009 passa anche per Firenze.
Il concerto inizia puntuale e con un immediato ritorno alle origini: “New Paths to Helicon, Pt. 1”, uno dei primissimi singoli dei Mogwai, poi incluso nella raccolta “Ten Rapid”, inizia pianissimo, con una chitarra sussurrata e un semplice riff di basso, su cui poi vengono stratificati gli altri strumenti, in un crescendo dal classico sapore post-rock, che culmina in una magnifica deflagrazione sonora per poi spegnersi lentamente. Si torna immediatamente al nuovo album, con la opening track “I’m Jim Morrison, I’m Dead”, una gemma in cui spiccano le tastiere di Barry Burns, e in cui si esaltano lo splendido gusto per la melodia e la profonda cura del dettaglio del quintetto scozzese.
I brani si susseguono senza soluzione di continuità, inframezzati soltanto da qualche “thank you very much” da parte del chitarrista Stuart Braithwaite, e la band suona concentrata, a tratti quasi immobile, lasciando spazio solamente alla musica, accompagnata solamente da qualche semplice gioco di luci. Allo stesso modo il pubblico è in religioso silenzio, quasi a non voler rompere la perfezione di cui sono testimoni, e applaude solamente quando ciascun brano è davvero concluso. La scaletta è quasi interamente strumentale, in linea con “The Hawk Is Howling”, da cui vengono estratti ben cinque brani, ma nessun album viene trascurato. Ogni brano è una sovrapposizione psichedelica e ipnotica di suoni e si alternano momenti di calma celestiale, pinkfloydiana, a esplosioni di suoni e luci che lasciano addosso una sensazione di serenità e pace. Il tastierista/chitarrista Barry Burns ha un ruolo fondamentale negli arrangiamenti, in particolare quando siede alle tastiere, perché si occupa dei suoni più particolari ed interessanti, quelli che spiccano sul denso substrato di chitarre ricche di delay, suonate da Stuart Braithwaite e John Cummings, mentre il tutto si sorregge sull’impeccabile sezione ritmica composta dal bassista Dominic Aitchison (il suo è un approccio minimale, ma incredibilmente raffinato ed efficace) e dal batterista Martin Bulloch.
Ciò che davvero distingue i Mogwai da molti dei gruppi che sono stati loro accostati nel corso degli anni, in particolare le band della scena post-rock (definizione che, neanche a dirlo, i Mogwai stessi respingono) venute alla ribalta più recentemente (come ad esempio i God Is An Astronaut), è che i loro brani non sono semplicemente delle improvvisazioni strutturate, basate su un magma sonoro anche interessante, ma fatte di pochi accordi, senza particolari trovate armoniche. I Mogwai hanno la capacità di scrivere delle vere e proprie canzoni, strutturate spesso in maniera non banale, e con dei cambi di tonalità e di atmosfera mai scontati. Insomma, credo che i Mogwai abbiano una maggiore capacità di stupire l’ascoltatore. Massima esemplificazione di quanto detto è la sfolgorante melodia di “Friend Of The Night”, un gioiello di altissima classe ai limiti del pop, tratto da “Mr. Beast”, probabilmente il più bel disco degli scozzesi. Ma non sono da meno “Killing All The Flies” e “Hunted By A Freak” (proposta in apertura dei bis), estratte dal precedente “Happy Songs For Happy People”, gli unici due pezzi cantati in scaletta.
Il concerto si chiude con “Mogwai Fear Satan”, che potrebbe essere definito il manifesto del Mogwai-pensiero, un brano lunghissimo e intenso, con scatti improvvisi fra una quiete dolce e una tempesta che sfocia nel noise. I Mogwai si confermano come una delle band più importanti attualmente in circolazione, autrice di una musica capace di emozionare e di stupire, e capace di concerti intensissimi e perfetti.

Live report di Andrea Carletti

Scaletta:

1. New Paths to Helicon, Pt. 1
2. I’m Jim Morrison, I’m Dead
3. Christmas Steps
4. Scotland’s Shame
5. Friend Of The Night
6. Ex-Cowboy
7. Auto Rock
8. I Love You, I’m Going To Blow Up Your School
9. Killing All The Flies
10. Thank You Space Expert
11. 2 Rights Make 1 Wrong
12. Batcat

13. Hunted By A Freak
14. Mogwai Fear Satan

  One Response to “Mogwai: quando il tramonto diviene Alba”

  1. […] fucina targata Matador Records, una tra le label Indie più prestigiose (Arab Strap, Interpol, Mogwai, Sonic Youth, Pavement). Il loro album, Violet Cries, è sorprendente: maturo e grezzo al tempo […]

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