Lug 302009
 

Roma, Cavea Auditorium, 20 luglio 2009

★★★★½
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Trentatrè anni or sono David Byrne dichiarava in una celeberrima canzone dei Talking Heads: ‘sono teso e nervoso, e non riesco a rilassarmi’. Parliamo ovviamente Psycho Killer, il manifesto della poetica della band di cui era indiscusso leader, la strada verso nessun luogo intrapresa con i suoi compagni di viaggio newyorkesi e condivisa con alcune delle teste pensanti e parlanti più importanti nella scena musicale di fine secolo: Robert Fripp, Adrian Belew e, soprattutto, il non musicista Brian Eno, raffinato architetto sonoro e autentico alchimista musicale. I risultati di questa collaborazione non tardarono ad arrivare: almeno tre album a cavallo tra fine anni settanta ed inizio ottanta sono citati come capolavori in tutte le enciclopedie e manuali di storia del rock.
L’inquietudine e la curiosità di Byrne lo hanno sempre spinto verso luoghi inesplorati, collaborazioni originali ed ardite, trascinandolo verso l’america latina ed arricchendo il suo percorso musicale di nuovi sapori e significati.
Questo suo lungo incessante peregrinare lo ha recentemente portato ad incontrare nuovamente il vecchio amico Brian: ecco arrivare quindi nell’autunno scorso un album che sembra decretare l’approdo a quella rilassatezza e placida tranquillità di cui per anni aveva denunciato la mancanza.
E questo è il musicista che si è presentato all’appuntamento di stasera alla Cavea, insieme ad un folto gruppo di musicisti e ballerini tutti di bianco vestiti, per fare pendant con l’incanutita capigliatura del sessantenne scozzese trapiantato a New York.
La setlist mescola sapientemente la nuova produzione con brani davvero inaspettati, come quella Help me somebody tratta dal capolavoro My life in the bush of ghosts, vero giro di boa nella produzione musicale di fine novecento: ecco la world music, ecco il sampling ante-litteram, ecco le contaminazioni con altri universi sonori. Ciò che stasera sorprende ulteriormente è la giovialità e l’irrefrenabile voglia di comunicare espressa da Byrne, vitale ed esplosivo come il ritmo di I Zimbra, di Life During Wartime o Born Under Punches, citando tre brani a caso della scaletta.
I bravissimi musicisti interagiscono con i ballerini, i coristi ballano, il percussionista salta assieme al resto della band, David Byrne dirige le danze con le sue celebri e caratterisitche movenze da burattino, immortalate nel film Stop Making Sense del futuro premio Oscar Jonathan Demme.
Una citazione a parte merita la riproposizione della splendida e sempre suggestiva ‘Heaven’, geniale e personalissima visione del paradiso, un luogo in cui non succede niente, ma questo niente è divertente, un bar in cui viene sempre suonata la nostra canzone preferita, in cui la festa è per tutti e tutti lasciano la festa nello stesso momento.
Il coinvolgimento è totale, il pubblico fa fatica a restare al proprio posto; alla fine tutti ballano e si scatenano, sopra e sotto il palco, quando ecco un ultimo coup de théâtre per il gran finale, quando l’intera band si presenta con indosso un buffissimo tutù di tulle bianco, che ha dato un taglio fortemente ironico e dissacrante all’evento.
Lo show si era aperto con Strange Overtones e si chiude con Everything That Happens Will Happen Today, entrambi estratti dalla produzione più recente della premiata ditta Byrne-Eno, un album decisamente pop, in cui i due si sono misurati con i tre-minuti-tre dell’universo canzone, con risultati comunque all’altezza della loro fama. La qualità del progetto è la stessa del resto della produzione del duo, e si è sbagliato di grosso chi ha considerato questo come un episodio minore della loro prestigiosa collaborazione: solo chi non li conosce bene può pensare che questi nuovi brani non siano accostabili alla produzione storica ed ineguagliabile di trent’anni fa: sono due capitoli diversi della stessa, unica e coerente storia musicale, da salutare con piacere, considerando la raggiunta e meritata tranquillità, espressa chiaramente dal Nostro in questa splendida, magica ed indimenticabile serata di luglio; il killer psicologico è stato disarmato, finalmente i nervi sono distesi e ci si può rilassare.

Recensione di Fabrizio
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Foto di Magister

Scaletta:
David Byrne 3 [800x600].jpg

  One Response to “David Byrne: Genius at work”

  1. […] nella mente ascolta in un locale di New York, “This must be the place” cantata dal suo amico David Byrne che interpreta se stesso. Cheyenne si raffronta con lui in un breve dialogo che secerne il dolore […]

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