Mag 182009
 

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C’è stato un momento alla fine degli anni settanta in cui i concerti delle rockstar internazionali erano diventati davvero merce rara in Italia (specialmente a Roma). A causa di alcuni gravi incidenti e contestazioni avvenute nel corso ad esempio dei concerti di Led Zeppelin, Lou Reed e dei Santana (con addirittura il lancio di molotov sul palco) gli artisti d’oltremanica e d’oltreoceano per alcuni anni hanno evitato lo Stivale nelle loro tournèe. Lo slogan della politica extraparlamentare dell’epoca era ‘LA MUSICA SI SENTE IL BIGLIETTO NON SI PAGA’ e spendere 1500 lire per assistere al concerto di Lou Reed era (forse non a torto) ritenuto scandaloso.
Per un bel po’ di tempo quindi ci si è dovuti accontentare di artisti italiani, non per questo meno contestati, basti pensare al pubblico processo a cui venne sottoposto Francesco De Gregori al Palalido di Milano nel corso di un suo celebre e drammatico concerto all’epoca di ‘Bufalo Bill’.
Piano piano, però, la situazione si è andata normalizzando; gli apripista al Palaeur furono i Van Der Graaf Generator, poi nel settembre del ’79 arrivò al Comunale di Firenze Patti Smith, grazie alla quale tra gli artisti di punta della sua generazione si sparse la voce che finalmente si poteva tornare a suonare dal vivo in Italia.
Con ancora nella mente e nel cuore la splendida esperienza dei Clash a Bologna, costretti a scartare come sempre i concerti più costosi (i Pretenders al Piper, quanti rimpianti….), sempre più affamati di musica dal vivo aspettammo dicembre col suo trittico di concerti consecutivi tra il 16 ed il 18 di quel mese, per la rassegna ‘Natale Rock’. Le poche risorse economiche a disposizione di quattro studentelli poco più che diciottenni ci costrinsero ad operare delle scelte: evitando come la peste il concerto di mezzo coi francesi Telephone, portabandiera di una poco convincente new-wave transalpina di cui pochi ormai conservano il ricordo, decidemmo di puntare tutto sul primo concerto, i californiani Motels della sexyssima Martha Davis. Del concerto non ricordo molto, tranne il tentativo di un fan troppo caloroso di tirare giù dal palco la cantante, fasciatissima nel suo miniabito ed affascinante dall’alto dei suoi vertiginosi tacchi a spillo. Al di là di un grande hit dell’epoca ‘Total Control’, di cui alcuni forse ricordano la cover italiana di Anna Oxa (!?!), il concerto non fu un granchè ed uscendo dal Tendastrisce di via Cristoforo Colombo ci rimproverammo a vicenda per la scelta poco felice di aver investito il nostro misero capitale dando retta più al testosterone che al buon senso.
Due giorni dopo infatti si sarebbero esibiti al Palaeur i Talking Heads, dei quali era appena uscito il quarto album ‘Remain in light’, prodotto come i due precedenti da Brian Eno e del quale avevo sentito parlare un gran bene.
Di loro conoscevo il primo album, ’77, ma un ascolto frettoloso e superficiale non me li fece apprezzare fino in fondo, al di là del brano ‘Psycho Killer’, vero tormentone dell’epoca.
I due album successivi, usciti nel breve arco di meno di due anni, non mi avevano incuriosito molto, la voce particolare del leader David Byrne, il poco ‘rock’ ed il tanto ‘funky’ espresso dai solchi di quei dischi non mi vedevano particolarmente interessato.
L’uscita di ‘Remain in Light’ era stata accolta però da un coro unanime di lodi e più di un critico aveva gridato al capolavoro. Completamente all’oscuro di quello che quest’opera esprimeva, ma curioso e affascinato dalle foto della bionda bassista Tina Weymouth, avendo saputo dai meglio informati che c’era una remota possibilità di entrare al Palasport senza pagare, convinsi i miei soliti compagni a fare un tentativo e sondare il terreno. L’arrivo all’Eur non fu affatto promettente: un nutrito schieramento di celerini in tenuta antisommossa faceva bella mostra di sé, con tutto il suo codazzo di gipponi ed autoblindo. Le forze dell’ordine però presidiavano i due cancelli principali del palazzo, lasciando completamente sguarnito il lato opposto, quello che affaccia in direzione del laghetto.
Seguendo alcuni ragazzi più intraprendenti che non si sa bene come si erano procurati una delle transenne, usandola come scaletta appoggiata alla recinzione ed utilizzando degli elenchi telefonici per coprire le punte acuminate della cancellata di ferro, in men che non si dica ci trovammo all’interno del palazzo!!!!!
Platea e primo anello erano stipati all’inverosimile, quindi ci decidemmo a salire al secondo anello, mentre si stava completando l’esibizione del gruppo spalla, gli inglesi Selecter, alfieri insieme ai più famosi Specials ed ai Madness dello ska-revival inglese molto in voga in quel periodo.
Appena entrati nel secondo anello si accesero le luci e lo spettacolo fu davvero emozionante: mai visto il Palazzo cosi stracolmo di gente, che aveva addirittura invaso le tribune dietro il palco.
Dopo la solita estenuante attesa, ecco finalmente rispegnersi le luci del palazzo ed accendersi i riflettori sul palco: i quattro membri fondatori della band, accompagnati da un altro chitarrista (un certo Adrian Belew…) attaccano con ‘Psycho Killer’ ed il pubblico inizia a ballare; non avrebbe più smesso per le successive due ore.
Come sarebbe spesso accaduto anche nelle successive tournèe, i Talking Heads iniziarono con pochi strumenti, per poi progressivamente espandere la formazione, che in questo caso arrivò a ben nove elementi che col trascorrere dei minuti si andavano ad aggiungere sul palco.
Ebbene, la sensazione che tuttora è ben presente e viva in me fu quella di una lenta ma inesorabile inondazione, che partendo dai piedi e dalle gambe, che in effetti iniziarono a muoversi istintivamente e senza controllo, passò alla pancia, allo stomaco, al cuore per finire per sommergere quindicimila teste e trascinarle lontano, come una marea improvvisa che al suo passaggio spazza via ogni oggetto.
Alternando i nuovi brani con quelli dei due precedenti, frenetico fu il susseguirsi delle canzoni, da ‘Cities’ a ‘I Zimbra’ tratte da ‘Fear of Music’, a ‘Stay Hungry’ e la cover di ‘Take Me To The River’ dal secondo e forse sottovalutato ‘More Songs About Buildings and Food’.
Coadiuvati da alcuni grandissimi musicisti, oltre al già citato Adrian Belew basti ricordare il grande bassista Busta Jones e la minuta ma indiavolata corista Dolette MacDonald, che collaborerà anche con Sting, le quattro teste parlanti offrirono per due ore ai presenti uno sguardo completamente nuovo sul panorama musicale di fine millennio: musica metropolitana influenzata dal recente avvento del rap, musica etnica che guarda all’Africa con l’urgenza di abbeverarsi alla fonte del ritmo, ma attenta anche alle radici musicali dei nativi americani, un vero crogiolo di culture, suoni e vibrazioni, che il capolavoro ‘Remain in Light’, insieme al successivo ‘Speaking in Tongues’ ben sintetizzarono.. Gli assolo lancinanti di Belew si alternavano alla ritmica spigolosa di Byrne, le percussioni di Steven Scales rendevano più intenso e tribale il drumming pulito ed incessante di Chris Franz, il doppio basso dell’esile ma implacabilmente precisa Tina sostenuta dal massiccio Busta Jones riusciva a entrarci nelle budella, nonostante la proverbiale pessima acustica del Palaeur. Erano maturi i tempi per lanciare quello che da molti viene considerato una vera pietra miliare della musica di fine novecento, quel ‘My Life In The Bush Of Ghosts’ che Brian Eno e David Byrne avrebbero a breve pubblicato.
Mai come uscendo da quel concerto fu evidente e netta la sensazione di aver assistito ad un concerto di una band all’apice della propria forza creativa, di essere stati testimoni oculari ed acustici di un vero evento, evidentemente di grande attualità, visto che nel novembre del 2008 è stato pubblicato il DVD estratto dai filmati registrati quella sera a Roma, riutilizzando le immagini girate all’epoca dalla Rai e trasmesse tanti anni fa in tarda serata. Purtroppo il DVD non è di facile reperibilità in Italia (!), ma è comunque possibile poterlo trovare su Internet. Se questa cronaca suscita il vostro interesse, l’acquisto del DVD è certamente consigliato, nonstante un’edizione quanto mai scarna e priva di qualsiasi extra. Suggeriamo come minimo la visione su YouTube dei brani estratti dal programma televisivo della Rai. Sarà come salire sulla macchina del tempo.

Articolo by Fabrizio

PS La foto di David Byrne in bianco e nero risale ad un successivo concerto da solista, scattata a Firenze nel Novembre 1989, nel corso del ‘Rei Momo Tour’

  5 Responses to “RETRO’: Talking Heads – Live in Rome 18 dicembre 1980”

  1. […] asciutto e puntuale, fiati stralunati, un robusto slapping alla Busta Jones dei loro padri putativi Talking Heads, a comporre un quadro d’insieme variegato ed al contempo molto omogeneo. Tante idee, mai confuse, […]

  2. […] in un certo Mick Jagger il progetto si concretizza in un album. 11 tracce, una memorabile cover dei Talking Heads, almeno cinque o sei brani da antologia, a partire dal brano di apertura, Cult of Personality, i […]

  3. […] setlist.fm non ho trovato traccia del concerto del 18 dicembre 1980 al Palasport dell’Eur (qui e qui 2 recensioni di gente che c’era), ma dal video e dalle date contigue di Milano […]

  4. Grande concerto. Uno dei più belli mai visti.
    Mi sono finanche ritrovato nel video di RAI Doc, appena a sinistra della lettera “I” al secondo 27 della clip:

    http://youtu.be/QNAzXlDaHQU?t=27s

  5. quando mai i Pretenders hanno suonato al Piper? suonarono nell’84 al teatro tenda di roma….? lo so bene, io ero il loro discografico in italia….saluti,
    Carlo Basile
    ps: forse ti confondi con i Plasmatics?

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