Nov 072008
 

Percorsi del Festival Internazionale del Film di Roma – 22/31 ottobre 2008

★★★☆☆

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La nuova edizione del Festival di Roma è stata inaugurata dal Curatore, Gian Luigi Rondi, decano del Cinema, che ha allestito una rassegna pletorica e fortemente diseguale, rispetto al valore dei film presentati, con l’aggravante di un forte incremento dei prezzi dei biglietti d’ingresso.
L’ottica è stata quella di privilegiare, come la nuova Giunta di Roma richiedeva, il cinema italiano, peraltro ancora fortemente incerto e zoppicante quanto alla qualità. Rondi si è addirittura augurato che vincesse il Festival un film italiano; così accanto a buone opere di molti paesi, sono apparsi film italiani di scarso peso, facendo eccezione per Il passato è una terra straniera di Daniele Vicari , di cui parleremo oltre.
Si è così rinunciato a presentare film facenti parte del cinema indipendente statunitense, massicciamente presenti, invece, nella Rassegna dell’anno scorso, puntando direttamente a poche pellicole ben congegnate per un pubblico mainstream.
E’ stato scelto, per i motivi sopra riportati, un film italiano per inaugurare la Mostra, L’uomo che ama, di Maria Sole Tognazzi, mediocre e banale, preceduto da un miniconcerto di Carmen Consoli, autrice della melensa colonna sonora. Il film parte dal lodevole assunto di descrivere la sofferenza interiore di un uomo preso dalle vicissitudini della sua vita sentimentale. In realtà, anche se Pierfrancesco Favino tenta di dare qualche spessore al suo personaggio, e la Bellucci, immancabile protagonista del Red Carpet, per una volta dimostra una notevole maturazione espressiva, l’opera sa di sceneggiato targato Mediaset, che non a caso è coinvolta nella produzione, mentre Ksenia Rappoport non si distacca da una certa scuola italiana di recitazione, propria dei cosidetti film carini, che all’estero nessuno vede. L’unico pregio della pellicola è forse la visione di una Torino ben fotografata: immancabili le due tre scene di nudo dei tre protagonisti, che probabilmente contano di ravvivare un’opera insignificante, che ha raccolto, stranamente, una marea di applausi, soprattutto dal pubblico giovanile.
Di tutt’altro spessore Der Baader Meinhof Komplex di Uli Ledel, con Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu e Bruno Ganz, che descrive minuziosamente gli anni di piombo tedeschi, ossia il decennio 1967/1977, attraverso le gesta della Rote Armèe Fraktion; la descrizione sa decisamente di piglio documentaristico. Vi si narrano i moti sessantottini, e la successiva deriva della lotta armata: gli attori rappresentano adeguatamente, con stile quasi teatrale, i drammatici avvenimenti che si susseguirono, fino alla drammatica fine. Il film é potente, ma squilibrato, e rischia, suo malgrado, di circondare di un’aura di gloria i terroristi assassini; le sparatorie si susseguono alle sparatorie, ma manca l’introspezione, la riflessione sulle motivazioni ideologiche che portarono questo gruppo di giovani a sfidare così temerariamente lo Stato. Manca, nella sostanza, una analisi di tipo politico degli eventi, ma il film appassiona per la perfetta scansione temporale e la drammaticità delle immagini. Ha anche il pregio di non pretendere di esprimere una tesi ad ogni costo sui drammatici avvenimenti di Stammheim, quando i tre terroristi di maggior rilievo della Banda furono trovati morti.
When a man comes home (Riunione di famiglia) , di Thomas Vinterberg, il cineasta danese allievo di Lars Von Trier e autore dello splendido Festen nella scia della corrente Dogma 95, è una commedia vivacissima ed acuta sui contrasti familiari e le complicazioni sentimentali che un giovane (Oliver Moller Knauer) affronta, conteso tra due donne, al ritorno del padre, creduto morto suicida ed invece tornato nella veste di cantante lirico di successo. Il film è brioso, accompagnato da splendide musiche folkloriche; il Regista, dopo la proiezione, ha spiegato questo abbandono degli stilemi del Dogma, affermando che quel periodo era stato luminoso per la sua creatività, ma che ora i tempi erano cambiati, pertanto egli si trovava al buio, ma che a volte dal buio nasce una nuova luce.
Uno dei film migliori presentati è sicuramente Easy virtue di Stephan Elliott, l’estroso regista britannico che anni fa ci aveva regalato il sorprendente Priscilla la Regina del deserto; una commedia ironica e fantasiosa, ove si consuma il conflitto tra le diverse mentalità dell’America e della vecchia Inghilterra, tratto dal testo teatrale di Noel Coward, diretto con grande originalità ed ironia. Larita (Jessica Biel, bella e brava, emergente attrice statunitense), americana estrosa e disinvolta, si sposa con un giovane inglese, John (Ben Barnes) e lo segue in Inghilterra per conoscere la sua famiglia. L’accoglienza, soprattutto dalla gelida suocera (Kristin Scott Thomas), non è però positiva; troppo diversi gli stili di vita e le mentalità: la donna subisce un vero ostracismo, e dopo aver scoperto e messo in luce i veleni e l’ipocrisia che sono celati nei rapporti familiari, abbandona il marito, seguita dal suocero, anticonformista, che ha imparato ad apprezzarla. Lo scontro tra i caratteri è descritto con particolare sagacia: l’ambientazione nella vecchia Inghilterra vittoriana perfettamente realizzata.
Martyrs di Pascal Laugier, produzione franco-canadese, è un horror con pretese filosofiche, ma che si esprime con un pessimo linguaggio filmico. Vi si narra di una setta criptocristiana bigotta che rapisce giovani donne e le sevizia fino all’inverosimile al fine di catturare il momento in cui la sofferenza si trasforma in estasi, come i padri della Chiesa narrano; l’assunto è interessante, peccato che il film soffra di un orribile tasso di incomprensibile ed insostenibile violenza, che uccide ogni pretesa di riflessione intellettuale.
Spiritoso e divertente è invece Louis Michel di Benoit Delepine e Gustave Kervern, prodotta da Matthieu Kassowitz ove alcune operaie di una fabbrica smantellata, finite sul lastrico, decidono di assoldare un killer che insegue per l’ Europa i presunti responsabili del dissesto finanziario. In realtà i registi, nella conferenza tenuta dopo la proiezione del film, pur condividendo i valori di solidarietà operaia espressi nella pellicola con forte vena grottesca, hanno sottolineato con forza e con chiarezza la loro totale avversione al terrorismo.
Un film italiano di buona fattura, aspro e teso, è Il passato è una terra straniera di Daniele Vicari, tratto dal romanzo di Gianrico Carofiglio, ove viene descritta la discesa agli inferi di uno studente modello ventiduenne, Giorgio (Elio Germano, convincente) che viene attratto dal fascino oscuro di Francesco (Michele Riondino), uomo misterioso. Giorgio segue Francesco nelle avventure ai tavoli di gioco, sino a Barcellona per l’acquisto di una grossa partita di cocaina, dove viene consumato anche uno stupro, per approdare al drammatico rendez vous finale. L’opera è densa di contenuti, ed ha la pretesa di essere quasi un racconto morale; il racconto si snoda tra Bari e Barcellona, entrambe descritte con immagini ruvide che mettono in mostra ambienti spesso degradati; certamente il suo maggior pregio è di non appartenere alla categoria dei film “carini”, così frequenti nella cinematografia italiana.
Abbiamo scelto molti film marginali e fuori dalle rassegne ufficiali, tra cui quella sull’altro Cinema, perché ci sono sembrate opere maggiormente meritevoli di attenzione. La giuria popolare, comunque, ha premiato un buon film italiano sulla guerra nella ex Jugoslavia, Resolution 819 di Giacomo Battiato, mentre il premio della critica è andato a Opium war di Siddiq Barman, ironica riflessione sulla guerra in Afganistan.
Certamente si è trattato nel complesso di una mostra in tono minore, caratterizzata da limitati episodi di divismo; è auspicabile che dall’anno prossimo essa possa decollare pienamente e gareggiare con la Kermesse veneziana, che tuttora risulta impostata con criteri di selezione dei film molto più appropriati.

—- Riepilogo film —–
L’uomo che ama ★½☆☆☆
Der Baader Meinhof complex-La Banda Baader Meinhof ★★★½☆
When a man comes home-riunione di famiglia ★★★☆☆
Easy virtue ★★★★☆
Martyrs ★☆☆☆☆
Louise Michel ★★★☆☆
Il passato è una terra straniera ★★★☆☆

Recensione by Dark Rider

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