Mar 202018
 

tencoIl primo giorno di primavera di 80 anni fa nasceva Luigi Tenco. Il bel ragazzo che cantava con gli occhi chiusi, destinato a rimanere a lungo nel cuore di tanti. Di quelli più fedeli alle rime baciate e agli acuti portentosi ma soprattutto di quegli adolescenti che a metà anni ’60 mettevano sul giradischi Satisfaction, A hard day’s night, Mr. Tambourine Man. Padri e figli si riconoscevano in Ragazzo mio, che sentii canticchiare da un regista cubano in vacanza in Italia. Com’erano arrivate fino all’Avana quelle parole? Non devi credere, no, vogliono far di te un uomo piccolo, una barca senza vela, ma tu non credere, no, che appena s’alza il mare gli uomini senza idee per primi vanno a fondo. Juan Padrón (considerato il Walt Disney dell’America latina) le sapeva tutte a memoria così come quelle di Lontano lontano, di cui un rocker versatile e luciferino come Mike Patton ha offerto una sorprendente cover (inclusa nella raccolta Mondo cane, 2010).

Di recente, mentre passava in tv il film di Luca Facchini dedicato a Fabrizio De André – Principe libero (2018), abbiamo visto che il grande Faber, ancora agli inizi della carriera, spacciava per sua Quando sperando di far colpo sulla sua ragazza. Pare che Tenco non se la sia presa più di tanto per il “furto” del suo primo 45 giri di successo e che i due si siano fatti poi una bella bevuta sotto il cielo stellato del mare di Genova. Ma Luigi era genovese solo per adozione, essendo nato a Cassine, in provincia di Alessandria, il 21 marzo 1938. Dopo la morte del padre, a dieci anni si trasferisce nei dintorni di Genova, con la madre e il fratello maggiore, Valentino. Coltiva presto la passione per la musica, soprattutto il jazz di artisti come Chet Baker, Gerry Mulligan o Paul Desmond.

Mentre frequenta il liceo scientifico inizia a studiare pianoforte, clarinetto e sassofono (sarà suo l’assolo di sax in Se qualcuno ti dirà, del 1961). Presa la maturità suona insieme a dei giovanissimi Bruno Lauzi, Umberto Bindi, i fratelli Reverberi, Gino Paoli e, come sassofonista, si esibisce con il Trio Garibaldi. Ma lui, oltre che un musicista, è anche uno straordinario interprete. Nel 1959, usando lo pseudonimo di Gigi Mai, incide i primi 45 giri con il gruppo de I cavalieri (voce e sassofono; Enzo Iannacci al pianoforte).

Nel suo primo album pubblicato con la Ricordi (Luigi Tenco, 1962) compaiono brani che testimoniano già l’estro poetico e il talento musicale che caratterizzeranno la successiva produzione. Mi sono innamorato di te (“perché non avevo niente da fare”); se tu fossi Una brava ragazza (“non mi daresti i baci per la strada davanti a tutti”); Io sì (“che t’avrei insegnato qualcosa dell’amore che per lui è peccato”). La sua voce ricorda quella del grande Nat King Cole (come in Ti ricorderai, In qualche parte del mondo o Una vita inutile, 45 giri del 1961).

Inevitabili le censure da parte della Rai che ostacola il passaggio televisivo dei suoi testi in un’epoca in cui le gemelle Kessler sono costrette a ricoprire le gambe con pesanti calze nere. Assai sporadica anche la circolazione in programmi radiofonici per un artista bollato senza troppe remore come scomodo, comunista, refrattario a qualsiasi tipo di compromesso. Ciononostante le sue canzoni, appena ascoltate, piacciono a molti. Giovani e meno giovani. Ancora in germe la contestazione studentesca del ’68, già al tramonto l’euforia del grande boom economico italiano. In quest’era di fermenti e transizione, Tenco non si riconoscerà in quel genere beat di cui furono portabandiera le prime band acclamate in locali come il Piper di Roma. Lui è altro. Rappresenta l’elaborazione di molteplici influenze musicali (e letterarie, Cesare Pavese in primo luogo) convergenti in uno stile che rivendica la propria ed esclusiva originalità.

cover-singoli-luigi-tencoCon Un giorno dopo l’altro, sigla del secondo ciclo delle fortunate “Inchieste del commissario Maigret” (Mario Landi, 1966), Tenco si assicura finalmente una certa popolarità. Quegli accordi di chitarra all’inizio, quel fischio in sordina alla fine (“e la speranza ormai è un’abitudine”) varcano i confini nazionali, mentre lui cambia ancora casa discografica. Dalla Ricordi alla Jolly e poi alla Rca con cui pubblica l’album Tenco (1966) che comprende tra le altre Vedrai, vedrai; Se sapessi come fai; Lontano lontano, nonché Uno di questi giorni ti sposerò (“stai tranquilla, così la smetterai di darmi il tuo amore col contagocce”).

Le sue canzoni si avvalgono del prestigioso contributo di maestri come Ennio Morricone, Gian Piero Reverberi o Luis Bacalov e diventano cavalli di battaglia per altri interpreti: Ornella Vanoni farà sua Mi sono innamorato di te, e Wilma Goich otterrà un notevole successo con Se stasera sono qui.

Ha già all’attivo tre album e una quarantina di 45 giri, quando la Rca lo iscrive al Festival di Sanremo del 1967. Tenco accetta questo banco di prova anche se lo preoccupa dover affrontare il grande pubblico televisivo, né condivide ideologicamente tutto quello che sta dietro a una manifestazione canora come quella. Il suo primo e ultimo compromesso. Il brano che porta, Ciao amore ciao, non riscuote l’apprezzamento sperato e viene escluso dalla finale.

Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sia stanco della vita, (tutt’altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e una commissione che seleziona “La Rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao Luigi.

Tanto è stato detto e scritto sul suicidio di Tenco che, ancora oggi, non sembra aver fugato tutte le ombre che finirono per sovrastarlo dopo la fine di quel Festival condotto da Mike Bongiorno (Non pensare a me la canzone vincitrice, interpreti Claudio Villa e Iva Zanicchi). Un biglietto d’addio trovato fuori posto, indagini sommarie e lacunose, testimonianze discordanti, quanti colpi sparati da quella pistola? Troppo alcool? Troppi tranquillanti? Nel 2006 la magistratura di Sanremo metterà la parola fine a tutte le illazioni avanzate in tanti anni: “perché nulla contrasta con l’ipotesi suicidaria”.

fabrizio-de-andre-preghiera-in-gennaio-1967-226 gennaio 1967. Tenco non aveva ancora compiuto 29 anni. In attesa dei funerali e dopo essere accorso a vedere il corpo senza vita dell’amico, Fabrizio De André scrive una canzone, Preghiera in gennaio, inclusa nell’album “Volume 1” (1967). Solo in seguito confesserà di averla pensata per la sua morte (“…Dio fra le sue braccia soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”) e nel 1976 Francesco De Gregori inserirà nel suo album “Bufalo Bill” un altro toccante omaggio, Festival (“chi ha ucciso quel giovane angelo che girava senza spada?”).

Da allora Luigi Tenco è diventato un mito e, in un modo o nell’altro, ha ispirato molti artisti italiani venuti dopo di lui, compresi quelli che, da adolescenti, mettevano sul giradischi: Com’è difficile, bambina mia, com’è difficile veder finire tutti i miei sogni in un bicchier d’acqua senza neanche aver visto il mare

Ornella Magrini

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