Ago 022018
 

fair PlayClaudio Pallottini è l’autore di Fair Play – Ed. Marsilio: “Una storia che davvero, se fosse vera, ci farebbe tutti felici: quella di un ragazzo che – a volte cadendo, sempre rialzandosi – riesce a salvare la propria purezza tanto nel mondo ultracompetitivo, e non del tutto pulito, dello sport più popolare, quanto in quello complesso e imprevedibile dell’amore, luogo per eccellenza dove basta un niente per perdersi e perdere.” (cit. Note di copertina). Lo abbiamo incontrato per parlare del suo romanzo di esordio. In realtà lui è un attore, sceneggiatore, drammaturgo. Sarà per questo che in questo resoconto più o meno fedele delle sue parole si ritrova sempre più spesso il discorso diretto, virgolettato delle sue parole dirette, divertenti, esplosive con citazioni dal suo mondo interiore della letteratura, del cinema, del teatro.

Com’è nata l’idea del libro? E che è successo tra lo spuntare della prima idea e la pubblicazione?

Come nasce una storia è sempre qualcosa di particolare, personalmente mi capita di esserne come investito. Di colpo: il tempo si ferma, e in pochi secondi si compone nella mia testa una storia compiuta a volte anche assai complicata e lunga. Fair Play nasce così, mentre corro su un campo da Calcio. Un campo che esiste da almeno sessant’anni e sul quale hanno giocato decine di generazioni di ragazzini. Dico questo perché probabilmente i sogni di quei ragazzini sono rimasti nell’aria di quel posto ed io me ne sono fatto portavoce. Poi di questa storia ne ho parlato con un mio amico e collega sceneggiatore, Bruno Garbuglia, col quale avevamo già scritto insieme e insieme l’abbiamo fatta diventare un trattamento cinematografico. Poi purtroppo Bruno è morto e per qualche anno Fair play è rimasto nel cassetto. Poi un giorno, l’ho fatto leggere ad Ettore Scola il quale mi ha consigliato di farlo diventare un romanzo. La storia mi ha detto gli era piaciuto molto, ma il calcio nel cinema, non è un argomento sul quale i produttori amino investire. “Tu scrivi il libro”, mi disse, “che poi se il libro va bene, il film arriva”.

Nel libro ci sono dei personaggi famosi citati. Qualcuno di loro ti ha contattato?

Qualcuno dei giornalisti che io cito l’ha letto e si è molto divertito; soprattutto hanno riconosciuto dei loro colleghi: “Questo io lo conosco, Riccardo Cucchi è proprio così, dice queste cose……”. Anche Enrico Varriale mi ha detto che: “Sembra scritto da un collega giornalista che ha usato uno pseudonimo”

In effetti nel romanzo sono citati molti personaggi reali; è stato facile o difficile tirarli dentro la storia?

In realtà all’inizio è stato molto difficile; poi è diventata quasi una sfida, una sfida a trovare per ogni momento della biografia di Ivan Un personaggio noto che potesse con la sua testimonianza dare più risalto al racconto di Padre Claudio (l’altro protagonista del libro, e io narrante della storia).

Io confesso che sono andata su Wikipedia a cercare “Fair play”: “Gioco corretto”, cioè comportamento rispettoso delle regole, che garantisce le stesse opportunità ai diversi contendenti, nello sport, nella politica e nei rapporti umani e sociali. Mi piace molto il concetto di dare le stesse opportunità a diversi contendenti; un concetto che oggi sembra abbastanza raro: un’utopia? Un bel sogno?

Io penso che la correttezza dovrebbe essere alla base di ogni rapporto e di ogni tipo di attività; questo è un concetto fondamentale per me: io ho molta fiducia nell’uomo. Il fatto che le persone possano essere oneste fino in fondo io lo credo fermamente, anche contro il buon senso comune che dice che siamo lupi tra i lupi e che ognuno cerca un po’ di fregare l’altro, quando può. Il mio assunto di base, il mio credo, è che si può essere coerenti e rispettosi degli altri fino in fondo. E’ non cedere alla scorciatoia, cioè alla tentazione ad esempio della raccomandazione, o all’uso delle sostanze dopanti che ci rendono più pronti, o all’abbracciare il pensiero unico dominante per evitare di esporsi. Credo che trattando dell’onesta quello che poi conta è un po’ quello che ci dicevano i vecchi, i nostri genitori: potersi guardare allo specchio. Che sembra una cosa passata di moda, ma invece non lo è affatto, e anzi è forse una di quelle cose che praticandola, ti accorgi ti dà molta forza. Molta più forza di una raccomandazione, che ti condanna al senso di colpa

Quindi, in questa visione, Ivan è uno qualsiasi, non è uno che ha una coscienza in più rispetto agli altri?

Ivan è semplicemente un calciatore che gioca molto bene a pallone e che durante una partita giocata da bambino viene messo fuori squadra dopo aver mentito su un gol. Un gol fondamentale che lui ha segnato di mano probabilmente perché animato da un senso di rivalsa contro gli avversari ben organizzati e con la divisa perfetta di contro alla sua squadra dove  in molti non hanno nemmeno gli scarpini. Nessuno l’ha visto tranne il portiere avversario che giustamente protesta con l’arbitro, l’arbitro dopo molte proteste fa uscire Ivan dal gruppo, e gli chiede se effettivamente l’abbia toccata di mano o no. Ivan con la mano sul petto giura di no: la palla l’ha colpita con l’anca. La sua squadra vince la Coppa ma quando rientra nello spogliatoio, il prete-allenatore-educatore che ha intuito la menzogna del suo giovane calciatore gli dà uno schiaffo e lo mette fuori squadra. “Qui non c’è posto per i bugiardi”. Ivan pensa che sia la reazione di un momento, ma poi capisce che il sacerdote fa sul serio e che lui non ha più accesso al grande campo dove gli altri giocano. E’ fuori dal gioco. Ed è proprio questa esclusione che fa prendere coscienza ad Ivan che la bugia non paga e che lui vuole essere un giocatore leale per sempre. Il prete lo avverte: “Attenzione quello verso cui ti impegni è grande e doloroso” ma Ivan per tutta la vita manterrà il punto; capendo sulla sua pelle che nel mondo dei grandi è la lealtà che ti metterà fuori dal gioco. 

In realtà il calcio è solo una scusa per parlare di tante cose: d’amore, di amicizia, di rapporti umani: c’è un po’ di Claudio Pallottini in padre Claudio? Oppure in Ivan?  I due protagonisti del romanzo. 

claudio pallottiniSi c’è un po’ di me, ma non di me reale, purtroppo! Piuttosto quello che mi piacerebbe essere. Un’aspirazione. Non a caso Fairplay è un romanzo di formazione che suggerisce e ricorda ai lettori la bellezza di una purezza perduta e la possibilità di creare un mondo migliore. Ivan appunto (campione nello sport e nell’etica) che tutti vorremmo essere.  E Padre Claudio (pieno di difetti e di contraddizioni, ma innamorato della sua missione di educatore).

Nonostante tu non sia alla prima esperienza di scrittura e di pubblicazione questo è il tuo primo romanzo; com’è stato il grande salto?

Io vengo dalla scrittura teatrale, cinematografica e televisiva, e non avevo mai scritto un romanzo, non sapevo neanche cosa significasse scriverne uno. Ora lo so: è un’opera massimalista che ti occupa completamente ogni fibra nervosa, intellettiva, del cuore e dell’anima. Un lavoro totale sfibrante che solo chi ha provato può capire. E soprattutto, a differenza del teatro dove ciò che scrivi verrà arricchito dalla interpretazione degli attori e dalla sensibilità del regista, o delle sceneggiature dove si scrive insieme ad uno o più colleghi, nel romanzo sei da solo. Tu contro il te stesso ipercritico che continuamente rema contro dicendoti: “Ma chi te lo fa fare? Ma chi ti credi d’essere? Ma davvero pensi che quello che stai scrivendo possa interessare qualcuno? Ma smetti, non fa per te!” Fortunatamente c’è anche un’altra vocina che invece ti dice di andare avanti. Io ho vissuto così per quasi due anni.

Ma come hai fatto a farti pubblicare alla prima esperienza da un editore importante come Marsilio?

“Per merito, fortuna e impudenza”. Spiego. Dopo aver terminato il romanzo ho inviato come d’uso il manoscritto ad alcuni editori, prendendo i contatti da internet e contemporaneamente l’ho dato da leggere anche ad alcuni amici fidati per avere opinioni e consigli. Due sono stati fondamentali: Daniele Aluigi che mi ha consigliato d’impaginare il manoscritto in maniera più armonica e leggibile; il secondo Alda D’Eusanio con la quale ho lavorato per molti anni in tv e che dopo averlo letto ed essersi appassionata, mi ha obbligato ad andare alla fiera della piccola e media editoria all’Eur per “rompere le scatole” ad un editore importante che in quei giorni stava lì per una presentazione, Cesare De Michelis. (Marsilio editore). Con un bel po’ di scetticismo – “certe cose funzionano solo nei film” – ci sono andato e alla fine della presentazione, facendomi forza, mi sono presentato e gli ho detto del mio libro. Avrei voluto anche raccontarglielo, ma lui mi ha bloccato e mi ha detto di inviarlo alla mail della casa editrice dove lo avrebbero letto entro tre, sei mesi. Andando via ero molto scettico. Invece… Dopo un mese esatto mi è arrivata una risposta che non era il prestampato classico che di solito viene spedito in automatico, ma una mail di 10 righe. Con le prime 8 di grandi complimenti per trama, intensità di scrittura e originalità e le ultime 2 di rifiuto:“…però il calcio non rientra nel DNA della nostra Casa Editrice e pertanto non siamo interessati”.  Ovviamente ci sono rimasto malissimo. Ma la notte stessa in preda a impudenza ho risposto difendendo il mio romanzo e spiegando che il Calcio era solo un pretesto, un contenitore per parlare dei mali della Società. E che comunque il Calcio in Italia è un fatto importante e che se loro pubblicano gialli che parlano di fiordi svedesi, forse… Nessuna risposta. Dopo un mese e mezzo però mi è arrivata una mail con il numero privato di Cesare De Michelis che diceva: “Mi chiami, appena può”. Ed io ho chiamato, molto emozionato. E lui, cito le parole esatte: “Allora Pallottini a seguito della sua risposta ho dato da leggere il romanzo a dei lettori, tra i quali mio nipote, i quali hanno tutti espresso un giudizio positivo dicendo che è da pubblicare. Ora lei che cosa si aspetta?” “Beh trattando di onestà, di essere trattato onestamente.” “Va bene allora io lunedì scendo a Roma con il contratto ”. E così è andata.

L’editore ha voluto cambiare qualcosa?

No. Anche se c’è stato comunque un lavoro con l’Editor (Giulio Mozzi) che mi ha aiutato a mettere meglio a fuoco degli aspetti tanto di stile, che di costruzione della trama.

Chi conosce il calcio ci trova qualche sfiziosità in più? Se lo gusta più di noi profani?

La vicenda di Ivan Providence Martini si svolge nel periodo che va dal 1995 al 2005. Chi ha seguito il calcio di quegli anni trova citati risultati, formazioni, nomi e cognomi di giocatori, di giornalisti e quindi si diverte a ritrovare quella memoria lì. Però poi c’è l’aspetto tecnico, la descrizione dei colpi, che diventa pesante proprio per chi conosce il calcio. Qualcuno infatti su Amazon ha proprio fatto questa critica: “Bello il romanzo, però la spiegazione dei colpi del calcio è un po’ pesante”. Si per te che conosci il calcio, ma per gli altri?!

La storia narrata non è vera, ma è verosimile, come specifichi tu stesso. E poi ci sono le tue esperienze editoriali precedenti che parlano di fiabe e sono indirizzate ai bambini. C’è sempre in mezzo qualche fiaba? 

Fiabe e miti sono la nostra formazione culturale e psico-emotiva; e questo è forse la spiegazione sul perché io vada sempre a finire lì. Mi piace muovermi in quel mondo inventato che ti da’ la chiave per capire il mondo reale. E a proposito del mito che gli antichi chiamavano (fiabe antiche) posso dire una cosa che mi fa molto piacere? Una professoressa ha dato da leggere Fair Play ai suoi studenti presentandolo come una modernizzazione del mito di Parsifal. Il ragazzo che riesce a vedere il Graal perché dal cuore puro.

Il tuo romanzo tocca generi diversi: comico, drammatico, surreale, grottesco: come si fa a farli convivere?

Convivono perché io sono un po’ così. Come tutti, a volte comico, a volte farsesco, grottesco, malinconico ecc. E poi c’è un fatto tecnico: se vuoi ottenere un effetto, devi partire dal suo opposto. L’ho imparato da Gigi Proietti. (Ho fatto la sua scuola e lavoro con lui). Proietti insegna che è tutto un gioco di atmosfere e che se vuoi far ridere devi farlo precedere da qualcosa che non faccia ridere affatto, e viceversa se vuoi far piangere.

Intervista di Susanna Ruffini

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