Gen 062010
 

Tana per la bambina con i capelli a ombrellone, di Monica Viola, Rizzoli – Pagg. 168 eur 15

★★★★½

copj13
Un tale concentrato di male che, se fosse scritto senza la caustica ironia che traspare da ogni pagina, sarebbe un mostro che ti azzanna e ti toglie il fiato. Un libro che scorre veloce, tra un grido d’aiuto, un pianto e una risata sarcastica. Un caravanserraglio di personaggi in preda a miserie e rancori, una bambina che cresce e ci accresce, patendone di cotte e di crude. Monica Viola è una manina candida che ti stringe la gola, che ti tiene gli occhi aperti anche quando vorresti girarti dall’altra parte. Non vedere, non sentire, come fanno molti dei protagonisti. Non vedere, fare finta che sia normale, come fa la ragazzina che ci fa sbirciare nel suo album dei ricordi. Le foto ingiallite di una nonna dal passato morbido e rassicurante, le foto in bianco e nero di una famiglia che della Famiglia Bradford ha solo l’incredibile numero di posti a tavola. Orrore, terrore, crescere diventa difficile, crescere è la vendetta contro chi vorrebbe strapparti la voglia di vivere. È tutto vero? È solo un ottimo romanzo? Non importa, non ci importa, la bambina coi capelli a ombrellone forse è la compagna di banco che abbiamo perso di vista e noi – inconsapevolmente – forse una mattina, durante uno sgangherato compito in classe, le abbiamo regalato quel sorriso che l’ha tenuta aggrappata alla vita fino alla mattinata successiva. Mi è rimasto molto in testa dopo aver divorato queste pagine. La consapevolezza che, da giallista, con tutte queste vicende avrei potuto scrivere un noir coi fiocchi. La certezza, da lettrice, che senza l’ironia di Monica Viola questo libro sarebbe stato un pugno allo stomaco. Non è stato così, è un libro che svela e non svilisce, la protagonista è talmente vera che non ci lascia soli nemmeno a libro terminato. Un libro che va letto per renderci conto che la normalità non è affatto normale e che la serenità va cercata strenuamente. Un consiglio: leggete “Tana per la bambina con i capelli a ombrellone” con la giusta colonna sonora, il libro è pieno di citazioni musicali.

Ho conosciuto Monica Viola grazie al web, amici di amici di amici… la solita storia che, su facebook, ti fa incontrare mezzo mondo. Spesso sono rapporti lievi, un saluto al mattino, un “come va?” durante la giornata. Con Monica è successo qualcosa di più, ho letto il suo libro e l’ho trovato bello, così bello che, cosa per me rara, ho pensato di consigliarlo a tutti. Di più, ho iniziato a consigliarlo in rete. Insomma, garantisco io, “La bambina con i capelli a ombrellone” è una vicenda che non lascia indifferenti, una lettura cruda e ironica, qualcosa che in giro ancora non c’era… ora sì.

G: Hai scritto una storia che ha preso corpo grazie al web e ad una casa editrice virtuale, un parto inusuale per questa bambina con i capelli a ombrellone. Come è nata questa scelta?

M: È nata da due cose: la fiducia nelle persone (Giulio Mozzi e Gaja Cenciarelli in testa) e dalla fiducia nella rete come spazio di diffusione orizzontale della cultura: sono felice che il mio romanzo sia liberamente scaricabile dal sito di VibrisseLibri, e che questo sia stato fatto da oltre 5000 persone.

G: Ti ho conosciuta grazie a facebook e al tuo romanzo, eppure mi sembra di frequentarti da una vita. Merito del tuo essere online in carne e cuore o del tuo scrivere senza filtri?

M: Forse da entrambe le cose? 😉

G: Questa sagace bambina raccoglie, come Pollicino, briciole di esperienza. Si sente l’ultima in famiglia, l’ultima a scuola, l’ultima nella vita. Alla fine decide che la ribellione è la pillola magica che può tenerla a galla. Quanto hai dovuto ribellarti con te stessa per dare voce alla protagonista del tuo romanzo?

M: La protagonista a un certo punto si è semplicemente presa quello spazio. Se i personaggi non diventano ossessioni per i loro autori, difficilmente si troveranno globuli rossi nella narrazione. La ribellione è una spinta potente, LA spinta potente, insieme all’amore, di un sacco di bellissime cose.

G: I bambini ci guardano, lo sappiamo bene. Eppure in questo libro spesso i bambini sono cattivi quanto gli adulti. Si nasce cattivi e si impara la bontà o si nasce buoni e si diventa mostri col cattivo esempio?

M: Credo si nasca crudeli e si diventi in caso cattivi da grandi. La “crudeltà” è parte dell’istinto, ha una funzione quasi di sopravvivenza. Senza una certa dose di spietatezza sarebbe più complessa la continuazione della nostra specie. La crudeltà nei bambini è quasi un gioco, nei grandi è malvagità. Il cattivo esempio, la trascuratezza, aumentano però la naturale crudeltà dei bambini, ed è molto pericoloso.

G: “Sapere di piacere è il massimo della vita” diceva Mafalda. Piacere a se stessi o piacere agli altri? Le due cose coincidono sempre, a volte o mai?

M: Credo che ci siano tutte le opzioni: si può piacere a se stessi incuranti di piacere o meno agli altri (conosciuti pochissimi mirabili esemplari di questa categoria), si può piacere agli altri e a se stessi (conosciuto qualche esemplare in più), e si può piacere agli altri, far di tutto per piacere agli altri, odiando se stessi. Esemplari a iosa…

G: Essendo nata alle foci del Po, ho vissuto il personaggio della madre remissiva e piena d’amore del tuo romanzo con gli occhi di chi vive a stretto contatto col grande fiume. Diamo per scontato che sia lì, che si prenda cura di noi, senza pensare al fatto che lo stiamo avvelenando e che i suoi argini potrebbero non proteggerci per sempre. È maggiore il senso di colpa verso chi ci vuole bene o verso noi stessi?

M: Domanda difficile Gaia… credo che il senso di colpa sia comodo da usare per tutto, e di solito ci condiamo la maggior parte delle relazioni profonde che abbiamo, soprattutto quelle con i nostri familiari.

G: Anni di piombo, ispettore Callaghan! Falsando il titolo di un famoso film per arrivare agli orrori nostrani, quanto è stato difficile per la bambina con i capelli a ombrellone affrontare una casa priva di sicurezza e, contemporaneamente, una città, Roma, dove volavano pallottole come nel Far West?

M: Difficilissimo. Il nostro senso di insicurezza era tale che ci sentivamo schiacciati da mille paure, avendo la sensazione che qualsiasi cosa potesse succedere in qualsiasi momento. Senza preavviso, e soprattutto, senza senso…

G: Il tuo libro si snoda ad immagini, come diapositive che passano su di un muro scrostato. Sembri volerci dare le minime indicazioni spaziali per permetterci di puntare l’attenzione solo sulla bambina e sulle prove che deve affrontare per uscire dal tunnel di un’infanzia sofferta. Quanto hai dovuto scavare in te stessa per portare a galla le sensazioni della protagonista?

M: Credo che la Bambina abbia sensazioni che tutti abbiamo provato, in qualche misura. Le radici della delusione e del dolore stanno in un vaso piuttosto universale, anche se ciascuno di noi sviluppa foglie diverse.

G: La tua scrittura è priva di fronzoli, secca e dinamica dice pane al pane. È stata una precisa scelta dovuta agli argomenti da trattare?

M: Scelta millimetrica: ogni sillaba è nata precisa per uno scopo, ogni frase ha un tempo cronometrato, ogni segno di interpunzione vale come quello di uno spartito: nulla è stato tirato via. Per questo motivo il lavoro di editing è stato quasi nullo. Come dice Giulio Mozzi, quello di “Tana” è un canto, qualcosa che ha una forte unicità narrativa, molto difficile da alterare.

G: In questo romanzo dici molto. Dici tutto o qualcosa non è riuscito ancora a venire a galla?

M: Dico tutto quello che secondo me era necessario e interessante dire. Per questo è molto breve 😉

G: La musica è parte integrante del tuo romanzo. Serve a curare ma serve anche a sopire le coscienze, memorabile la parte dedicata ai Duran Duran come oppio agli anni di piombo e alle lotte di piazza. Quale ruolo ha ora la musica? Cosa ascolta Monica Viola quando vuole stare bene con se stessa?

M: Oh, qualsiasi cosa tranne la musica popolare e la musica da ascensore (italiana o straniera). Se guardi il mio sito c’è una sezione che si chiama “soundtrack” dove c’è tutta la musica del romanzo, dichiarata o implicita, che si chiama, per l’appunto “Music that saved my ass”: volgarmente, “La musica che mi ha salvato le chiappe”. Credo che questo spieghi in modo eloquente il mio amore per la musica.

G: Ci unisce l’ironia, l’amore per i libri e la musica, la vita irreale ma così tangibile del web, i capelli a ombrellone e la dolorosa perdita di un genitore. Il tuo libro mi ha colpita, tu di più. Dovrò attendere molto per ritrovarti nuovamente in libreria?

M: Difficile da dire, ma forse non tra moltissimo, se mi saprai trovare 😉

Grazie Monica, un abbraccio (non fraterno, di più).

Recensione ed intervista di Gaia Conventi

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