Set 052012
 

★★★★½
Sedici anni fa i Dead Can Dance si scioglievano come neve al sole, lasciando in un mare di lacrime i fan più accaniti ed un enorme vuoto nella musica cosiddetta indipendente. Regalavano soltanto un intermezzo nel lontano 2005, con un world tour corredato di materiale da collezione come i cd live delle singole date in edizione limitata. Soltanto nel 2010 Brendan Perry anticipava l’uscita di un album di materiale tutto nuovo che presagiva un ovvia reunion della band. Ed oggi, siamo arrivati al momento tanto atteso , precisamente il 13 agosto è in uscita il decimo album dei Dead Can Dance, Anastasis, presentato in tour mondiale a partire proprio da agosto.
Anastasis è un titolo scelto con cura dalla band, una parola tratta dall’iconografia bizantina che significa Resurrezione e che forse prelude ad un nuovo e speriamo ancora lungo sodalizio tra i due artisti Australiani. Lo stesso Perry ha ammesso che alla fine del tour di Anastasis i due si rinchiuderanno in studio per la creazione di un nuovo album.
Sono otto gli intensi brani dell’album, che con gradevole sorpresa non inizia la dove è finito Spiritchaser, l’album dell’addio colmo di sonorità etniche di odore africano, sicuramente non il miglior prodotto di casa DCD. Anastasis è invece un album che riprende appieno le melancolie più struggenti e le atmosfere più oscure dei DCD, rinunciando però alle ritmiche medieval-occidentali di Aion.
Il legame con la Grecia ed il medioriente è presente oltre che nel titolo dell’album anche nelle ritmiche e sonorità in particolare dei due brani Kiko e Agape, ma sono presenti anche in Opium (che usa il ritmo 6/8 del Sufi Marocchino) e Anabasis (dove appare uno Hang, uno strumento a metà tra tamburi di acciaio dell’India occidentale e i gamelan, gong Indonesiani).

L’album è molto equilibrato e riesce ad amalgamare integralmente le esperienze soliste di Perry e della Gerrard, che prese individualmente risultavano affascinanti ma incomplete. In Anastasis questa sinergia è perfetta e l’intenso gothic/wave della prima produzione DCD trova una sua nuova veste, una sua nuova anastasis, in un sound sicuramente melanconico e che si nutre massicciamente del percorso solista intrapreso da Perry (ad esempio Voyage of Bran) ma più fresco e meno legato alle sonorità dei primi anni 80.
Il brano che forse meglio interpreta questa nuova strada è Amnesia, una sorta di preghiera a Mnemosyne, la madre delle sette muse della mitologia greca, affinché cancelli l’Amnesia collettiva dell’umanità.
La robustezza dell’album sta però proprio nella Glossolalia della Gerrard che rende meno monocorde l’esperienza individuale di Perry. Peraltro, la spettacolare voce di Lisa Gerrard, qui non sborda mai fuori dalle righe ma esce fuori meglio e più compiutamente rispetto alla sua esperienza solista, forse anche perché accompagnata da una struttura musicale più ricca e congeniale alle sue possibilità. Insomma un grande album saluta il ritorno dei Dead Can Dance, sicuramente una delle migliori uscite del 2012 e noi non possiamo che essere impazienti di rivederli sul palco dopo sette anni. Purtroppo, il tour che toccherà il nostro paese il 19 ottobre al Teatro degli Arcimboldi, è però sold out già da tempo.

Recensione di Magister

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