Ott 282012
 

Barcellona, Auditori, 22 ottobre 2012
★★★★½
Meraviglia, meraviglia, meraviglia, potrei riempire tutta la recensione con questo unico sostantivo che meglio rappresenta lo stato d’animo di chi ha potuto assistere alla grandissima reunion dei Dead Can Dance nella capitale Catalana. A Barcellona ci si arriva dopo oramai molteplici date, dopo il tour Americano e quasi alla fine di quello europeo con una scaletta ingessata, che non ha praticamente concesso variazioni nell’arco di tutto il tour. Avevamo già visto i Dead Can Dance a Madrid 7 anni fa e in quell’occasione nell’ambito di un concerto comunque bellissimo, avevamo osservato un Brandon Perry un po’ zoppicante, messo in ombra dalla sempre perfetta Lisa Gerrard. Oggi, I due sono in forma smagliante con un Perry al di sopra di ogni aspettativa e di grande vitalità. Lo spettacolo è tutto incentrato sull’ultimo album, quello della grande, attesissima, reunion ed i brani vengono snocciolati piano piano quasi seguendo l’ordine di Anastasis. Ad intervallarli alcuni brani storici alcuni eseguiti magistralmente che l’acustica dell’Auditori ha esaltato in maniera superlativa. La voce della Gerrard al solito grandiosa, possente, dolce, melanconica ti accappona la pelle ed un brivido ti percorre la nuca, scende sul collo fino alla schiena, come in Host of Seraphim, Sanvean o Agape. Dicevamo che Brandon è in forma talmente smagliante che sembra quasi abbia preso una pillola di Vociagra. Ci son piaciute molto le scelte dei due inediti, una ballata d’amore Arabo-Andalusa del XII secolo (Lamma Bada) e un Rebetiko dal folk tradizionale greco (Ime Prezakias). Bella anche la scelta di includere nella scaletta la bellissima e oscura Dreams Made Flesh composta dai Dead Can Dance per il progetto This Mortal Coil. Che dire poi della clamorosa interpretazione di Brandon Perry sulla cover di Tim Buckley Song to the Siren? I due, molto affiatati, non si scambiano grandi effusioni ma sono molto affettuosi con un pubblico talmente osannante che alla fine di ogni pezzo si spella le mani per minuti, sino all’inizio del brano seguente, si alza in piedi, urla, si commuove: ad un certo punto Lisa non riesce a portar via i tre mazzi di fiori che gli consegnano gli adoranti fan. L’unico dubbio è sui due pezzi dalla produzione solista della Gerrard: la poco incisiva Now We Are Free, colonna Portante del film il Gladiatore e il brano di chiusura del concerto Rising Moon (aka Wandering Star da The Silver Tree). È solo per questo che le cinque stelle le lasciamo a Grillo e i Dead Can Dance si devono soltanto accontentare di un 4.5. Chiuderei con “Encore, Encore, Encore”, come i tre bis che il duo ha regalato questa sera, per pregare i due australiani di organizzare un nuovo tour dove poter ancora ascoltare queste melodie millenarie e multiculturali , queste voci oniriche, queste atmosfere melanconiche.
Bentornati Dead Can Dance!

Recensione e foto di Magister
Milano, Teatro degli Arcimboldi, 19 ottobre 2012

★★★★☆

Nella bella cornice del Teatro degli Arcimboldi di Milano, davanti ad un pubblico entusiasta per la loro recente riunificazione, i Dead Can Dance ci hanno offerto una memorabile performance, dall’alto impatto emozionale.
Si erano separati nel 1996, dopo il deludente Spiritchaser, ed il ritorno dipochi mesi fa è stato contrassegnato dalla realizzazione di Anastasis, resurrezione in lingua greca, album nel quale la grandezza del duo anglo australiano rivive in tutto il suo magico splendore.
Come tra partecipanti ad un arcano rituale esoterico, il colore che prevaleva tra il pubblico, in religioso silenzio, era il nero, richiamando le radici gotiche ed arcane iniziali della Band, che in realtà nel corso del tempo si è profondamente trasformata, sino a diventare cultrice della ricerca etnologica e folklorica, in una sorta di affascinante e solenne World Music, sia pure di matrice prettamente Dark, spaziando tra suoni mediterranei, mediorientali, celtici, tribali che si perdono nella notte dei tempi.
Come vedremo, l’ensemble ha infatti concesso poco alla rievocazione del primo periodo, presentandoci per intero il suo ultimo album, che ci conferma, come già i precedenti, che pur nei progressivi cambiamenti di stile, il loro suono nasce da suggestioni vicine ad alcuni importanti gruppi del passato: l’esotismo mistico e primitivo di Third Ear Band, le armonie universali degli immensi Popol Vuh, l’ensemble tedesco che fece del misticismo esoterico stile e ragione di vita, aprendo la strada alle nuove sonorità world, dopo aver composto le più belle ed immaginifiche musiche per i suggestivi films del visionario Werner Herzog, così come dall’oscura angoscia esistenziale dei Joy Division e dai tenebrosi gruppi post–punk dei primi anni ottanta.
Ed è assimilando dette influenze, e trasfigurandole genialmente, che i Dead Can Dance approdano ad una sofisticata forma di Dream Pop, portando alle estreme conseguenze il suono di bands come i Cocteau Twins, o This Mortal Coil, trasferendo un suono gotico, medioevale, ancestrale, classicheggiante nella struttura della canzone rock.
Alla radice della loro creazione artistica c’è sempre stato un intenso lirismo, una poetica funebre di stralunato romanticismo, unita alla voce potente, nella sua unicità di Lisa Gerrard, simile ai “Lied” classici, ed alla classicità della possente, pastosa voce di Brendan Perry, unitamente a stupefacenti arrangiamenti che si modificavano nel corso del tempo, diventando l’equivalente rock della musica da camera, e conferendo a ciascun nuovo album un’aura di grande fascinazione, che spaziava dal gotico dei primi tempi alla interiorità ed al misterioso esoterismo del prosieguo, dal recupero della musica rinascimentale sino alle radici celtiche; tutto ciò ha contribuito a fare di questo ensemble, che non ha eguali al mondo nel suo genere, un caposcuola per tanti, dopo essersi conquistato, nel corso del tempo, sempre di più, un’immagine di arcano splendore.
Inizia Brendan Perry con una magica, coinvolgente versione di “Children of the Sun”, tratto dall’ultimo album Anastasis, una sinfonia maestosa ed onirica, dal sapore gotico, ove l’ipnotica voce baritonale del sacerdote esoterico ci invita a tuffarci con innocenza nell’ignoto, che lascia totalmente attonita la platea, la quale esplode poi in un applauso scrosciante.
E’ la volta di “Anabasis”, tappeto elettronico di suoni dal sapore mistico, dal quale si libra la voce incantata di Lisa Gerrard, che entra in scena agghindata come una divinità rinascimentale, mentre “Rakim”, da “Toward the Within” si illumina di suggestive tonalità etniche.
Il suono di “Kiko”, sempre tratto dall’ultimo album, nelle atmosfere rarefatte ed austere ricorda le sonorità medioevali di “Aion”, con chitarre meravigliose che descrivono paesaggi arcani. La lamentosa “Lamma Bada” traditional ispano arabo di 800 anni fa è un inedito, che Perry interpreta da par suo.
L’Oriente si riaffaccia nella stupenda “Agape”, tratta ancora da “Anastasis”, inno ad una divinità immaginaria, ove il sitar accompagna suggestivamente il canto di Lisa Gerrard. “Amnesia”, tratta dal medesimo splendido album, è notturna ed ancestrale, dominata da archi maestosi, ove la voce solenne e malinconica di Perry risplende eterea, piena di forza drammatica, presaga dell’angosciante oblio della mente.
La toccante “Sanvean”, dal magico incanto, ci riporta indietro nel tempo, all’album “Toward the Within”, mentre “Nierika” al periodo etno world di “Spiritchaser”, di minore intensità creativa.
L’oscurità e l’inquietudine permeano l’avvolgente “Opium”, ancora da “Anastasis”, dove la voce pastosa di Brendan Perry si staglia sopra tastiere cupe e minacciose, dal maestoso incedere, mentre “The Host of Seraphim” da “The Serpent’s Egg” è un salto nel passato più oscuro e gotico della Band.
“Ime Preziakas”, altro inedito, è un bell’omaggio al “Rebetiko” greco, dopodichè Gerrard ci regala una delle sue composizioni soliste più “mainstream”, quella “Now We Are Free”, colonna sonora del film Gladiator, mentre Perry ci riporta ancora alla malinconia avvolgente, accompagnato da tastiere soffuse.
I Dead Can Dance si congedano quindi tra applausi scroscianti, ma ritornano presto offrendo numerosi bis.
“The Ubiquitous Mr. Lovegrove” ci riporta suggestivamente indietro nel tempo, ad “Into the Labyrinth”, mentre “Dreams Made Flesh”, fortemente “dark”, è il ritorno alla storica collaborazione con i “This Mortal Coil”, nell’ambito della mitica label 4 AD, che risale ai primi anni ottanta, ma è con lo straordinario omaggio al suo padre spirituale Tim Buckley, nell’ancestrale, stupenda “Song to the Siren” che Brendan Perry ci sorprende e ci commuove.
“Return of the She-King”, ancora da “Anastasis”, splendido brano dal sapore medioevale, meravigliosa sinfonia a due voci chiude il concerto, dandoci una sensazione di grande, potente luminosità, insieme alla successiva Rising of the Moon, altro inedito, lirico folk song irlandese.
Come sciamani misteriosi, conoscitori dei più impervi percorsi verso l’ignoto, i Dead Can Dance hanno creato intense emozioni: il loro romanticismo decadente, che ci aveva regalato inni chiesastici come “De Profundis”, di profonda solennità interiore, o “Anywhere out of the World”, percorso iniziatico verso un’altra vita, è ora contrassegnato da una maggiore serenità e maturità esistenziale, che stempera in parte la drammaticità del loro canto in una musica “ethereal” maestosa e sublime, arricchita da un suono elettronico ove le tastiere assumono un ruolo molto più rilevante del passato. Memori delle parole di Perry, che invitava a considerare il loro canto non come frutto di una esperienza religiosa, ma di approfondimento interiore e di liberazione dell’inconscio, usciamo dal concerto, dopo immense ovazioni, con la sensazione di aver fatto una profonda esperienza spirituale, arricchendo l’anima e la mente di ancestrali, arcane suggestioni che resteranno in noi, pur consapevoli che tanti capolavori ascoltati nella loro splendida performance resteranno nell’ombra, privilegio di pochi iniziati.

Recensione di Dark Rider

TRACKLIST

Children of the Sun
Anabasis
Rakim
Kiko
Lamma Bada
Agape
Amnesia
Sanvean
Nierika
Opium
The Host of Seraphim
Ime Prazakias
Now We are Free
All in Good Time
The Ubiquitous Mr. Lovegrove
Dreams Made Flesh
Song to the Siren
Return of the She-King
Rising of the Moon

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