Gen 212014
 

Roma, Aula magna dell’università La Sapienza, 14 gennaio 2014

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Quale musicista può avere il coraggio di proporre una compilation di brani che spaziano nell’arco di almeno sette secoli, ed eseguirli per di più senza alcuna interruzione? Non può essere che Jordi Savall, uno dei personaggi più poliedrici della musica cosiddetta colta. E la musica non può che venire dall’Armenia, una delle culture che ha meglio saputo mantenere intatta la propria identità nel tempo e nello spazio, essendo stata la sua popolazione vittima di una diaspora per molti aspetti paragonabile a quella degli ebrei, senza per questo perdere mai il contatto con le proprie radici
Il concerto proposto dall’Istituzione Universitaria dei Concerti ha fatto registrare il tutto esaurito all’aula magna della Sapienza, grazie soprattutto alla fama del “gambista” Savall, che negli anni si è affermato quale campione della contaminazione tra generi del passato meno recente, avendo compiuto incursioni a partire dalla musica antica verso altre culture dell’area mediterranea: quella andalusa, poi araba e oggi armena.
Detto così può sembrare che stiamo parlando di un bel mattone, ma si consideri che la musica armena ormai da tempo è entrata nel “mainstreaming”, se si tiene conto che il suo esponente più famoso, Djivan Gasparyan, ha ricevuto nel 2007 una nomination per il Grammy Award, dopo anni di collaborazioni con personaggi come Sting, Peter Gabriel, Lionel Richie e molti altri, sempre e soltanto suonando il duduk, strumento simbolo della musica armena, capace di evocare dolce malinconia come nessun altro oggetto al mondo.
Qui però, nonostante il repertorio pescasse al 100 per cento da quella tradizione, non ci trovavamo di fronte a un concerto di mucica armena in senso proprio, perché l’ensamble comprendeva anche strumenti della nostra tradizione, cioè le viole da gamba. E l’effetto ottenuto era piuttosto insolito, quasi estraniante, dal momento che si mettevano degli strumenti tipici della tradizione tonale, la nostra, al servizio di una musica completamente modale, qual è quella dell’Armenia e di tutto il Mediterraneo del Sud.
A questo punto vale la pena mettere Slowcult al servizio della divulgazione e accennare a questa differenza. La musica tonale è quella che abbiamo imparato a conoscere sin da bambini. La melodia si articola sulla base di una successione di accordi, cioè combinazioni di più note che fanno da “supporto” al racconto musicale, il quale può essere eseguito anche da più strumenti indipendentemente, purché ciascuno rispetti gli accordi. Nella musica modale, invece, il supporto è dato da una sola nota, che non varia. La melodia si articola tutta attorno a quell’unica nota, facendo ricorso ad un numero più ampio di escamotage, come i quarti di tono e l’improvvisazione. Mettere insieme questi due mondi è molto difficile, ma gli esempi di contaminazione in ambito “world” non si contano.
Le creazioni di Jordi Savall ne sono un esempio eccellente. E dimostrano come sia possibile intrattenere, anzi incantare un pubblico dal palato difficile a suon di musiche per matrimoni e funzioni religiose, con un pizzico di canzoni di lotta e persino inni nazionalistici. La musica è fatta così. Gli stessi moduli si ripetono nel tempo con mille varianti, ma anche con molte inossidabili costanti.

recensione di Paolo Subioli

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