Nov 172015
 

 

Monte del Lago – Magione (PG),  18 e 19  settembre 2015

Il Villa Festival rimane una delle opportunità più autentiche, in Italia, per l’ascolto di certe sonorità in gran parte assenti dai circuiti commerciali, ma vive e presenti in quelli di matrice “underground”.

L’edizione 2015 è stata molto positiva, anche per il costante interscambio tra i musicisti, le loro collaborazioni intrecciate, lo spunto per progetti comuni; le proposte culturali sottese alle band che hanno partecipato all’evento si sono dimostrate quanto mai vive ed intense, e di questo diamo ancora una volta merito agli organizzatori, che tra mille difficoltà e con totale abnegazione sono riusciti a portare sul palco realtà musicali che nei paesi anglosassoni si esibiscono davanti a migliaia di persone, e nel nostro paese sono assolutamente sconosciute. Va riconosciuto anche il lavoro, costante e prezioso di Viceversa/Miss Lucifer Dj set, con una scelta eccellente di proposte musicali, presentate tra un concerto e l’altro.

ecco il reportage della seconda serata di concerti

19 settembre
Snowfade: Signifer Tenebrarum

★★★☆☆

Snowfade è un progetto di Marco Grosso, il valoroso musicista underground già animatore dello splendido progetto “dark ambient” Ouroboros: è utile rammentare come tale denominazione nascesse dal concetto esoterico “Il Serpente che si Morde la Coda”, espressione alchemica che rappresenta la raffigurazione animata del Cerchio, del Rotondo, della Totalità: simbologia dell’Armonia e della Trasformazione, essa contiene il Tutto. Proprio al Villa Festival, nell’edizione 2012, Ouroboros ci aveva offerto una performance suggestiva, realmente iniziatica.Ora Marco Grosso ritorna con questo suo progetto collaterale, presentandoci una creatura musicale egualmente interessante e caratterizzata anch’essa da arcana suggestione, che, da una base di partenza dark ambient si sviluppa sino ad abbracciare ed attraversare molti generi: prog, psichedelia, synth music, noise, doom metal e diversi altri. A nostro parere ci sono, inoltre, influenze della musica cosmica tedesca, in particolare Klaus Schultze e i primi Tangerine Dream, trasfigurata con notevole talento compositivo, sapienza tecnica ed inventiva nel suo lato più oscuro. L’ispirazione tematica viene offerta dalla science fiction, la letteratura ed il cinema horror, la natura e lo spazio profondo, il noir, i misteri della Madre Terra.
Molti suoni sono stati realizzati nelle foreste, od all’interno di chiese, strade, ed anche nei luoghi propri della vita quotidiana, contaminando la musicalità con le modalità del rumorismo contemporaneo. Gli strumenti per lo più utilizzati sono tastiere, droni, campane tibetane, theremin (uno dei primi strumenti elettronici, inventato in Russia, molto usato dal musicista elettronico Tim Blake, il geniale componente dei Gong) percussioni varie, ed elementi musicali tratti da opere filmiche.L’effetto, rilevato nella bella performance al Villa, è fortemente suggestivo, straniante, meditativo. L’atteggiamento del musicista è sempre quello di un sacerdote pagano che presiede ad un rito iniziatico: sopra un altare, oltre al computer campionatore di suoni, varii oggetti tra cui un teschio, che egli espone più volte, officiando un rituale di giuramento di morte, mentre uno schermo laterale conferma, con le visionarie, disturbanti immagini del film “maledetto” Begotten del regista visionario E.Elias Mehrige, la propensione multimediale del progetto. Scorrono tra gli altri brani, le inquietanti, suggestive “Over the Crypt”, The Observers”,” Samahin” (Halloween, il Capodanno celtico),” Whispering Terror”, che sembrano far parte di un tessuto sonoro articolato, differenziato, ma sostanzialmente unitario. “Night of the Skull” raggiunge l’apice dell’incubo con una lancinante cascata di suoni.La performance, nella cripta, si svolge in un ambito fortemente gotico, tenebroso, angoscioso, le tematiche riportano a fantasmi, case nere, con un tappeto sonoro di grande suggestione e perizia tecnica. Alle spalle dell’officiante uno specchio rimanda i suoi movimenti deformandoli, determinando uno straniante effetto di oscure presenze spettrali. Marco Grosso è coadiuvato da Cecco Testa di CropCircle alla chitarra in “Fleurs des Tenebres” e “Revenants”, ed in quest’ultima l’eccellente vocalist Stefania Domiziana presta la sua voce registrata, che sembra realmente provenire dal mondo delle ombre. Con effetti di forte presa sull’audience e di sicura suggestione gotica.

Desiderii Marginis: In Tenebris

★★★½☆
Johan Levin,Il musicista svedese Johan Levin, fondatore del solo project Desiderii Marginis, attivo sulla scena fin dagli anni novanta, quando entrò in contatto con Karmanik, fondatore della storica label Cold Meat Industry, è un maestro del Dark Ambient/Industrial, e sin dall’inizio, tra gli organizzatori del Villa festival: egli ha allestito all’interno della cripta un set di video installazioni, che prevedono rappresentazioni filmiche accompagnate dal suono elettronico di loop, drones e vari campionatori.Personaggio fortemente introspettivo, è sperimentatore e indefesso ricercatore di sonorità che archivia costantemente. Egli esprime un sound dalle forti caratteristiche catacombali, oscure, capace di trasmettere quasi sensazioni fisiche di disagio ambientale. Egli esplora spesso luoghi abbandonati ed in rovina, polverosi rappresentando i lati oscuri dell’esistenza ed il malessere psichico che la sottende.La musica è pervasa da arcana sacralità, quasi una sorta di aspro cristianesimo primitivo, altamente simbolico, dove ogni brano rappresenta una parte di un discorso musicale compiuto, e dove l’ascoltatore viene guidato attraverso un passaggio iniziatico verso una filosofia gnostica, ove a detta dell’Autore, la ricerca della Verità dev’essere incessante, ma mai data per acquisita, perché la Verità assoluta non esiste. La performance, è come già altre cui abbiamo assistito in passato, estremamente suggestiva, inquietante, ansiogena. Una cascata di suoni lugubre, accompagnata sullo schermo dalle immagini espressioniste di una ragazza che vaga per corridoi oscuri, botole, cripte, sin quando non raggiunge un luogo dove si celebra una cerimonia cristiana arcana e sanguinosa. Un cristo sanguinante scende dalla croce ed abbraccia una suora, mentre le altre religiose presenti cadono a terra, colpite da una malefica magia. Inquietante, sacrilega ed iconoclasta visione che certamente colpisce pe la sua arcana visionarietà.
Essa è stata in gran parte ispirata dall’ultima prova del musicista svedese, “Hypnosis”, unione delle due parole greche “Hypnos (dio del sonno) e Thanatos (dio della morte), che l’Autore vede strettamente legate tra di loro. I suoni sono caratterizzati sempre più da un ambient post-apocalittico, con sonorità ipnotiche e avvolgenti, con effetti di grande straniamento e sottile inquietudine.

RosaRubea: Cristalli di Luce nell’Oscurità
★★★½☆
rosa RosaRubea nasce da un ambizioso, coltissimo progetto di Daniela Bedesky, vocalist dalle eccezionali doti, per anni soprano di Camerata Mediolanense e di Pino Carafa, già autori di “The Fire and The Rose”, album di gran pregio, intriso di arcane, eteree sonorità, e fortemente pervaso da cultura alchemica, ispirato da un brano di Thomas Stearn Elliott, ove il Fuoco dello Spirito e la Rosa, purezza dell’anima, si abbracciano conquistando l’amore universale. Ed è attraverso la Rubedo Alchemica che, nella concezione esoterica dei due musicisti, si realizza un viaggio materiale e spirituale nell’anima dell’uomo, a compimento di un percorso iniziatico. I quattro elementi, aria, terra, fuoco, acqua sono chiamati a costituire un percorso artistico che ridefinisce poeticamente il concetto di Morte e Rinascita. I due artisti trovano ispirazione dalla concezione Ritomodernista, che sottolinea l’antico legame tra l’Arte e la Cultura, ne riscopre la funzione educatrice, favorendo il percorso per la conoscenza del sacro. E’ anche concezione poetica, fortemente trascendente e catartica, ove l’Artista viene visto come uno sciamano in grado di riconoscere e rivelare l’Assoluto, entrando in una sorta di rapporto dialettico con esso.
L’ensemble, rappresenta un progetto multimediale, ove musica, poesia, teatro, arti visive trovano una sintesi mirabile, fortemente intrisa di esoterismo, volta alla sperimentazione artistica ed aperta a collaborazioni, che nell’elemento scenico teatrale trova una sua naturale dimensione, volta alla rappresentazione di una dinamica ritualistica.
Non a caso il pittore Massimo Bertocchi è fortemente coinvolto nel progetto, curandone l’aspetto visivo, dal quale indubbiamente emana una forte suggestione pittorica.
RosaRubea è in linea con le avanguardie europee, ne subisce l’influenza, ma dimostra di possedere una sottile vena poetica e compositiva, che ci sembra crescere nel corso del tempo: sono evidenti le ispirazioni a Sigur Ros, Kate Bush, Coil, Cocteau Twins, Die Form, e la stessa Patti Smith.
Rispetto alla performance offertaci al Villa Festival nel 2012, l’ensemble sembra aver intrapreso con maggiore convinzione la via della Musica Sperimentale, superando in parte il modello “neoclassical” precedente, senza però rinnegare un melodismo arcano, originale e emotivamente coinvolgente. Ne fa fede una performance tesa, complessa, ardita nelle strutture armoniche, che in gran parte si richiama al nuovo album “Chrysalide”, nuova creazione della poetessa e soprano Daniela Bedesky, dotata di un incredibile magnetismo e di una sicura presenza scenica, certamente originata da esperienze di teatro “underground”, coadiuvata dai talentuosi musicisti Marco Bosio (pianoforte), Ermanno Fabbri (chitarra), Yann Turrini (tastiere), Michele Fiore (percussione). Ed è il tema della metamorfosi, della rinascita a seguito della morte il tema poetico che sottende a questa nuova creazione artistica.
Entrata in scena con una suggestiva maschera, la poetessa iniziava con la folgorante, cupa e sperimentale “Om: The Beginning”, per continuare con la sognante, inquietante, fortemente ipnotica, psichedelica “O Deathe, rock me asleep”, canto di dolore che nasce da un testo attribuito ad Ann Boleyn, scritto probabilmente negli ultimi giorni di prigionia nella Torre di Londra, in attesa di essere giustiziata.
“Hekla” ci accompagna dal tempo dell’attesa a quello della morte e della rinascita, e la metamorfosi si compie. Un tappeto sonoro di pianoforte soffuso ha accompagnato la vocalist nei vari brani, “Window Pain” ci è apparsa aspra e dolente, mentre “Flood” (alla cui creazione ha contribuito anche Zeno Gabaglio), tratteggiato da splendidi archi, è brano enigmatico, in cui si rappresenta la morte ed il divenire, “Chrysalide”, malinconica e profonda, di enorme suggestione, con arpeggi di chitarra meravigliosi e un sottile soffuso tappeto elettronico, ha espresso compiutamente, con intenso lirismo, la filosofia di RosaRubea.
“Koenig” è l’omaggio a Nico, la musa imperitura della “dark wave”, in una delle sue più drammatiche rappresentazioni. Daniela Bedeski si è immersa nel cantato, gli arpeggi della chitarra, avvolgenti, cupi fascinosamente ancestrali hanno fatto il resto. Musica che proviene dagli abissi della psiche, e là ritorna volteggiando su sé stessa, dove una donna canta l’amore vertiginoso per il suo uomo, il suo “re”.
“The Fire and the Rose”, che intitolava l’omonimo album ha brillato di luminoso splendore, mentre l’algida “A blue Bird in a Scarlet Spring”, sempre dal medesimo album, è apparsa poeticamente coinvolgente; “Orpheus” sebbene sia decisamente sperimentale, è risultata pervasa da ancestrale poesia, coniugando luce ed ombra con dolente intensità, nella rivisitazione drammatica del mito del cantore greco.
Una performance di poetico, arcano splendore, un luminoso percorso che dalle tenebre del romanticismo gotico approda alla luce della vita, di cui diventa appassionata, lirica, estatica celebrazione.

Allerseelen: Apokaliptic KrautRock
★★★☆☆

Allerseelen (Il Giorno dei Morti) rappresenta probabilmente il gruppo creativamente più eclettico ed indefinibile tra quelli che hanno partecipato al Villa Festival. Portatore di un ibrido di industrial e neofolk stralunato e potente, l’ensemble ha offerto una vivacissima performance e Gerhard Petak, il fondatore, si è letteralmente scatenato, cambiando continuamente ritmo e mimica, dimostrando notevole inventiva e presenza scenica.
Certamente influenzata dal Surrealismo, dal Simbolismo e l’Arte Preraffaellita, la band crede fermamente nella forza di espansione della coscienza, che si esercita attraverso la creazione artistica.
Allerseelen vuole trascendere i generi e la concezione temporale odierna, incentrata tutta sul presente, a discapito della memoria, e incapace di intravedere il futuro; l’aspirazione è quella di elevarsi dalla moltitudine, evitando il conflitto tra materialismo e spiritualità, tra mito e modernità, riconoscendo come maestri spirituali i Coil, i Throbbing Gristle ed i Current 93.
La musica della band sorge infatti da una originale mescolanza di generi e culture musicali, dal flamenco, alla canzone napoletana, alle marce militari, al neofolk apocalittico (anzi lo stesso Gerhard pensò bene di definire la propria musica come Apocaliptik Krautrock), ma risente anche di importanti influenze letterarie, come Rainer Maria Rilke, Hermann Hesse, e Ricarda Huch, poetessa neoromantica tedesca. In una opera su Venezia, realizzata qualche anno fa, molte tracce sono ispirate a lavori di Nietzsche ed Ezra Pound.
Ma nella sostanza la poetica di Allerseelen vuole essere uno specchio del mondo circostante, così come appare al musicista fondatore e compositore, nelle sue visioni quotidiane, che vengono trasfigurate nelle invenzioni artistiche. Così monumenti, campagne, locali fumosi e città affollate vengono sovente descritte nelle liriche dell’ensemble.
Una specie di trascinante folk elettronico con varianti nettamente di stampo rock, ma anche darkwave e rumoristiche, fanno sì che dal palco di Villa Aganor Pompilj la band si sia imposta all’attenzione del pubblico, con un sound ossessivo e ipnotico, pieno di arrangiamenti abbastanza elaborati. La riproposizione di “Flamme”(Genziana), loro caposaldo, è stata eccellente, con spunti jazzati, ma tutti i brani sono apparsi fluidi e veloci, a volte declamati, anche se in buona parte diversi gli uni dagli altri, con effetti decisamente crepuscolari, che ci hanno infine trasmesso una sottile inquietudine, quasi un’aura d’incubo.
Resta l’anomalia di una musica che dal vivo, risentendo molto dell’improvvisazione, come ebbe a dire più volte Gerhard “Hallstatt” Petak, è piuttosto diversa da quella ascoltata nei dischi, che comunque a noi appare più raffinata e profonda.

Hidden Place: Luminosità electro dark
★★★☆☆
HIDDEN-PLACE 2 Avevamo avuto modo di ascoltare ed apprezzare questa band nella scorsa edizione del Villa Festival, e non possiamo che confermare il giudizio positivo che formulammo allora.
Hidden Place trae il nome da uno storico indimenticabile brano di Bjork: essi si ispirano all’electro Wave anni ottanta, di cui sono luminosi seguaci. Sviluppano sentieri di “Dance Electronica”, ma la stessa è fortemente virata al dark, nell’ambito di una ricerca artistica originale e sorprendente, non priva di un soffuso tono vintage.
La band nell’ultimo lavoro realizzato a tutt’oggi, quel “Novecento” dove affronta la tragicità e la passione della storia, dimostra di non volere trasmettere un messaggio di mero intrattenimento, ed appare colma di riferimenti letterari importanti, il D’Annunzio di “Fuochi Fatui”, in primis; trae inoltre ispirazione dal manifesto futurista con “Scenari d’Occidente” dove sonorità suggestivamente elettroniche si librano in volo sopra la voce declamate di Marinetti, fondatore del movimento artistico.
Il dark elettronico cupo e suggestivo di Hidden Place, romantico e sognante, ha fatto ancora colpo al Villa Festival, sostenuto dalla ottima presenza scenica della fascinosa Sara Lux, dotata di una timbrica eccellente, che si è stagliata potente nella suggestiva “Picture Hall”, bellissimo incastro di chitarre e tastiere, ed in tutti i brani presentati.
Indubbiamente la band è ispirata, tra l’altro, dal suono di Kirlian Camera, uno dei progetti dark elettronici più interessanti d’Europa e dai fondamentali Kraftwerk, ma in scena il cupo romanticismo che sottende le sue liriche si proietta in un convincente ed originale percorso di luminosità espressiva.
Anche se sulla falsariga di quello tenuto al Villa Festival nella precedente edizione, Hidden Place ha realizzato un concerto di suggestive e solenni melodie, mirabili canzoni elettroniche che ben poco hanno da invidiare ai più celebrati modelli del passato.

The Frozen Autumn: Suggestione Cold Wave Electronica

★★★☆☆
L’ultima performance del Villa Festival è stata tenuta da The Frozen Autumn, storica formazione torinese, di fascinosa, raffinata eleganza. Un duo, formato da Diego Merletto, fondatore, già nel lontano 1993 del progetto, allora solista, e da Froxeanne, fascinosa tastierista e vocalist di grande talento.
Uno storico gruppo, formatosi sull’onda del post punk, dei suoni meravigliosi dell’etichetta 4AD, quella per intenderci, dei Dead Can Dance, dei Cocteu Twins, e della Factory, che lanciò i Joy Division, che sin dal suo esordio ha lasciato il segno, ricevendo critiche e segnalazioni entusiastiche dalle riviste gotiche di mezza Europa.
Ma le influenze più pregnanti per il duo vanno ricercate nelle architetture sonore dei Depeche Mode, nell’electro wave di Gary Newman, con un suono ancorato agli anni ottanta, profondo, intenso, trasognato e malinconico, ma incredibilmente vivo dopo molti anni.
La passione per i sintetizzatori, per la gestualità raffinata e teatrale fanno parte dell’essenza dei The Frozen Autumn: cascate di suoni di grande suggestione, con melodismi portatori di un romanticismo solenne e mai ridondante, che ci parla della natura, degli esseri viventi, della vita stessa, che hanno conferito alla performance di Villa Aganor un fascino senza tempo, unitamente ad un arcano, insolito splendore.
Portatori nelle loro musiche di esperienze oniriche, ma anche delle esperienze della vita quotidiana, il loro sound nasce da un costante approfondimento e sperimentazione degli strumenti elettronici, pur se la loro poetica si esprime nettamente nella rivisitazione della cold wave anni ottanta, ma in modo mai derivativo, bensì originale ed intenso.
Autori di un recente Ep su vinile, Lie in Wait, hanno presentato, oltre a diversi brani storici, come” Is Everything Real”, le nuove composizioni: “We’ll Fly away”, “White on White”,” Your Touch”, e “Sideral Solitude”, reprise dell’album “Chirality”.
Una performance coinvolgente, intensa, che ha chiuso degnamente un festival ricco di proposte interessanti e di grandi emozioni.
Reportage di Dark Rider

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