Nov 172013
 

Takadum Orchestra: Takadrom – suoni al confine (2013 Odd Times-Egea)

 

★★★½☆

Una vera e propria orchestra che dal vivo raggiunge i diciotto elementi, composta in massima parte da percussioni, un impatto sonoro davvero potente, travolgente ed a tratti irresistibile, una proposta musicale che va dal Mediterraneo all’Arabia all’Armenia, ecco la Takadum Orchestra, che ha recentemente riempito il Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica, costringendo le hostess agli straordinari per trovare altre sedie da aggiungere alla sala per sistemare il pubblico rimasto in piedi. Di recente è stato pubblicato il secondo album dell’ensamble capitanato da Simone Pulvano e Gabriele Gagliarini. Qui la presenza delle percussioni di matrice araba, sempre dominante e cifra stilistica dell’Orchestra, viene integrata con alcune canzoni di variegata provenienza culturale, proposte dalla suggestiva voce di Lavinia Mancusi. Tale contributo dà al repertorio Takadum un respiro più completo che lascia spazio a nuove e più ampie prospettive a questa formula davvero unica ed inconfondibile in un campo, quello della ricerca nella musica popolare, che sembra davvero una miniera inesauribile di energia e di evoluzione sonora, seppur nel rispetto della tradizione, grazie alle contaminazioni ed agli intrecci musicali che riesce a scaturire.
Slowcult ne ha recentemente disquisito con il fondatore dell’orchestra, Simone Pulvano. Ecco il resoconto dell’interessante chiacchierata.
Come e quando nasce l’orchestra? Cosa significa il nome Takadum?
L’orchestra l’ho fondata nel 2007, nasce come orchestra di sole percussioni, partendo da un gruppo di miei allievi dei corsi di percussione araba, della darbuka: per anni è stata solo un gruppo di percussioni che lavorava sui ritmi del Mediterraneo, che ha dato origine al nostro primo disco . Dopo due anni si è aggiunto un mio amico percussionista, Gabriele Gagliarini, che mi ha dato nuova linfa, nuove idee ed insieme abbiamo deciso di lavorare insieme su un repertorio melodico, inserendo in un primo momento voce, violino, tromba e chitarra, lavorando sul secondo disco, uscito a marzo di quest’anno; poi si è aggiunta una seconda voce e la fisarmonica, formazione con cui ci siamo esibiti all’Auditorium. Ora si aggiungerà il contrabbasso, quindi la formazione è in continua espansione, a seconda del tipo di ricerca sonora che vogliamo fare. Il nome Takadum è onomatopeico e rappresenta l’unione dei suoni prodotti colpendo la darbuka, strumento a percussione del mondo arabo, turco, greco.
Il repertorio di canzoni sta crescendo col passare del tempo ed anche dal vivo ora sembra essere aumentato rispetto al disco Takadrom…
E’ vero, nel concerto all’Auditorium sono stati presentati alcuni brani inediti, lavorati successivamente al disco, come “La Cecilia” alla cui storia si ispira la Tosca, oppure “Bingol”, un brano Armeno ed anche Vranjasky, il pezzo che ha chiuso il concerto. Stiamo pertanto lavorando a brani nuovi che andranno a far parte del terzo album incui la presenza di canzoni dovrebbe essera ancora più consistente.
Nel repertorio vi sono almeno un paio di brani, “La Cecilia” e “Acqua di Fiume” , che fanno parte della tradizione popolare romana. Come si integrano questi brano col resto del repertorio, più ‘esotico’. Più distintivo del vostro carattere musicale?
Le nostre sono spesso scelte dettate dal gusto, a volte c’è l’idea di trovare matrici comuni tra i brani e fonderle insieme: la matrice può essere dovuta a comunanza nel testo, come in Acqua di fiume che poi si unisce ad un brano albanese che parla sempre di una storia d’amore legata all’acqua, in questo caso di una fontana. A volte siamo ispirati dal tema musicale, dalla melodia. Ci piace lavorare su queste sintesi, a volte si lavora su ritmi comuni a brani diversi , che ci fa mettere insieme brani uniti da questa matrice condivisa, ad esempio un ritmo popolare italiano unito ad un ritmo simile che nel mondo arabo ha un altro nome. Unire quindi brani popolari che appartengono a culture diverse del Mediterraneo e che sono uniti da una matrice comune sul testo, sulla melodia oppure sul ritmo.
Il repertorio si presta naturalmente alla danza, questo spiega la presenza di Sciahina, la danzatrice che si è esibita con voi sul palco del Teatro Studio
Noi nassciamo all’interno del repertorio musicale arabo, da cui fiorisce la danza del ventre: soprattutto in una prima fase abbiamo lavorato molto con danzatori, nazionali ed internazionali, che operano nell’ambito della danze orientale. Ora tale contributo è stato in parte ridimensionato visto che il repertorio si è allargato a sonorità e ritmiche non più solo arabe; ciò spiega perchè già dalla tournèe della scorsa estate in Calabria la presenza della danza si è ridotta ad una sola danzatrice. E’ probabile che in futuro avremo in mentre altri tipi di collaborazioni non necessariamente legate alla danza, perchè ci piace aprirci a nuovi ambiti, e confrontarci con nuovi progetti, con video proiezioni o performances di altro tipo.
Vista la presenza di brani legati alla tradizione popolare romana, qual è il vostro rapporto con il panorama musicale della nostra città più legato a questa tradizione?
Va innanzi tutto ricordato che questo lavoro sulla tradizione musicale romana è stato possibile grazie al contributo della nostra cantante, Lavinia Mancusi, che ha conoscenza di testi e di brani che lei propone anche in altri progetti e che personalmente non conoscevo. Mi lega un rapporto di amicizia con il Muro del Canto, ho suonato nell’album dei ‘Controcorente’, ma a a me non interessa lavorare nell’ambito della musica romana, quanto trovare sempre matrici comuni al resto del repertorio, con altre culture ed al folclore di altri paesi. L’ho scritto anche nella prefazione al disco, che come sottotitolo ha la frase ‘Suoni al confine’, a me interessa parlare della continuità culturale tra i popoli, spesso negata da questi confini nazionali, messi in modo molto artificiale, quindi più che a un approfondimento esclusivo di una cultura mi interessa capire e raccontare come diverse culture abbiano affrontato gli stessi temi oppure quali siano le differenze, piuttosto che ‘specializzarmi’ sulla musica romana, sui canti di lavoro, o su una tradizione musicale in particolare.
Il vostro progetto si muove in un ambito poco legato a logiche commerciali e ‘di tendenza’; come si sopravvive in questa realtà culturale e musicale così poco propensa a rischiare ed investire su una proposta come la vostra?
Appunto, non si vive ma si sopravvive, le diffficoltà sono enormi, legate agli spazi in cui proporsi, il problema è molto vasto e riguarda lo spazio e gli investimenti che lo Stato riserva alla cultura: c’è poi il paradosso che se un gruppo come il nostro suona all’Auditorium, fa il ‘sold out’, mentre lo stesso gruppo suona in un locale di S.Lorenzo raccoglie un pubblico di poche persone: ciò penso derivi da un pregiudizio, per cui se suoni all’Auditorium sei valido, mentre se suoni da un’altra parte vali di meno.
Il tutto poi considerando che la nostra non è affatto una musica ‘di nicchia’: dagli anni novanta esiste un fenomeno molto forte di riscoperta, ad esempio della musica del sud Italia, la pizzica, la Taranta, si tratta di un filone che riscuote grande seguito e visibilità. Il problema è la mancanza di spazi ed il taglio dei fondi alla cultura, che limita molto le possibilità di organizzazione ed il ventaglio di proposte: scompaiono sistematicamente rassegne, festival, i cartelloni si riducono e questo colpisce tutti gli artisti, tutti i musicisti in maniera trasversale, da chi fa rock a chi fa musica come la nostra, anche se la nostra proposta sembra antistorica, date le dimensioni della nostra orchestra, ed in tempi di ristrettezze economiche far lavorare un gruppo di quindici persone diventa quasi impossibile.

L’Orchestra ha annunciato una data per il 23 febbraio 2014, ma non si esclude la possibilità di rivederli dal vivo ancora prima. Per informazioni potrete informarvi su www.takadumorchestra.com.

 

Intervista di Fabrizio Forno

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