Set 292011
 

La Pelle Che Abito, regia di Pedro Almodòvar, con Antonio Banderas, Elena Anaya, Bianca Suarez, Jan Cornet, Marisa Paredes, Barbara Lennie Durata 117 minuti – Spagna 2011

★★★☆☆

Con “La Pelle Che Abito” Almodòvar si cimenta per la prima volta con il Cinema Horror, sia pure virato al Melodramma, come nel suo stile. Sceglie di narrare una storia estrema, traendo lo spunto dallo scrittore francese Thierry Jonquet, autore del romanzo Mygale, pubblicato in Italia da Einaudi col titolo di Tarantula.
La vicenda è ambientata a Toledo nel 2012, ma il film rimanda anche ad anni ed ambienti precedenti; vediamo un chirurgo plastico di fama internazionale, Robert Ledgard (Antonio Banderas), all’avanguardia nella ricerca cellulare, ferito dalla vita per aver perso in due circostanze differenti, la moglie e la figlia, animato da una lucida e furiosa ansia di vendetta contro il destino che l’ha colpito così duramente.
Attribuito il suicidio della figlia ad una tentata violenza perpetrata da un ragazzo, Vicente (Jan Cornet), il medico lo sequestra, lo porta in una villa appartata e supertecnologica e dopo avergli effettuato una vaginoplastica, lo fa diventare donna, con le fattezze simili alla defunta moglie, ricostruite perfettamente con un ardito incrocio di pelle umana e di maiale.
Ed è nella villa, in una stanza videosorvegliata, che facciamo la conoscenza di Vera (l’inquietante Elena Anaja), che un tempo era Vicente, che si aggira spaurita tra le quattro mura, osservata costantemente da una anziana governante (Marisa Paredes), che provvede alle sue necessità. Ma nel corso del tempo tra il medico e la paziente si andrà sviluppando una sorta di morbosa solidarietà, ed Egli assimilandola sempre più alla defunta moglie, morta anni prima carbonizzata in un terribile incidente d’auto, finira per innamorarsene, ponendo fine alla sua segregazione.
E la villa sarà testimone della melodrammatica e forse prevedibile conclusione, che vedrà infine la giovane donna rivolgersi verso una nuova vita.
Un’opera tenebrosa, claustrofobica ed angosciosa, nella quale il Regista inserisce tutti gli elementi ricorrenti della sua poetica, la metamorfosi sessuale e l’incertezza dell’identità, il desiderio inappagato, la inesorabilità delle coincidenze e del destino, l’ineluttabilità della Morte, ma ove, per la prima volta, egli sembra osservare i suoi personaggi con il distacco proprio dell’entomologo, non simpatizzando con alcuno di essi.
La tensione psicologica è costantemente presente, e pur calcando la mano, come sempre, sull’ineluttabile inclinazione degli esseri umani alla perversione, Almodòvar ha il grande merito di creare un’inquietante atmosfera “gotica”, senza scadere minimamente negli effettacci, come avviene negli horror dozzinali da cui siamo invasi.
Banderas, tornato a lavorare con il regista dopo ben ventidue anni, è molto a suo agio nella parte, e rappresenta al meglio la compassata e lucida follia del medico, l’insorgenza del desiderio di ritrovare l’oggetto d’amore perduto, il ritrovamento della passione come pulsione di morte. Efficaci Elena Anaja, nel ruolo della nuova donna, di cui esprime lo sconcerto e la progressiva apparente rassegnazione, e Marisa Paredes, nel ruolo dell’anziana e devota domestica, in realtà madre del folle medico.
Il mito di Frankenstein è rivisitato in modo mirabile ed originale da Almodòvar, che, nella freddezza delle inquadrature, espressione come sempre di una ineccepibile e talentuosa fotografia, e nella insistente ma controllata tensione psicologica dei personaggi lascia intravede un sincero omaggio al miglior cinema hitchcokiano. Il geniale Regista, da par suo, mescola vari generi, l’Horror, la Fantascienza ed il Noir, stravolgendoli con la sua sfrenata creatività. Molto efficace l’angosciante colonna sonora di Alberto Iglesias

Recensione di Dark Rider

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