Mag 222012
 

Villa Aganoor Pompilj – Monte del Lago – Magione (PG), 28 – 29 aprile 2012

Un’esperienza importante e significativa la partecipazione a questo festival misconosciuto che si tiene nel cuore dell’Umbria, giunto quest’anno alla terza edizione, che verte sulla Gothic Music spaziando dalle sue espressioni neofolk a quelle dark ambient, industrial, darkwave. Abbiamo avuto l’opportunità di assistere a tutte le performances dei musicisti di diverse nazionalità intervenuti ed anche di scambiare qualche opinione con loro.
Intanto va sottolineato il fascino della location, situata nella splendida Villa Aganoor Pompilj a Magione, posta su di una collina sul lago Trasimeno, che fu a lungo residenza della poetessa Vittoria Aganoor.
Va ricordato, altresì, come sottolineato dalla bella locandina del Festival, che a suo tempo Lord Byron trasse ispirazione dal suddetto lago per alcuni dei suoi versi immortali.
L’atmosfera è stata positiva, l’evento molto ben organizzato, con un palco sito nel giardino della Villa ed una cripta all’interno di essa che disponeva di una buona acustica. Gli stessi musicisti non si sono peraltro limitati ad eseguire le proprie performances, ma hanno assistito a tutte le altre, allestendo al contempo una sala ove erano reperibili numerosi album inerenti le loro composizioni e quelle, senza dubbio rare, di molti altri artisti.
All’interno della Villa è stata allestita anche una mostra delle tele del visionario pittore Massimo Bertocchi, ispiratore tra l’altro della copertina dell’album di Rosa Rubea, nonché delle rappresentazioni visuali di altri artisti, in un interessante connubio pittura-musica.
La presenza del pubblico è risultata abbastanza limitata, non più di 100, 120 persone: erano presenti operatori della cultura e redattori di blog magazines, poi altri musicisti che avevano già partecipato alle precedenti edizioni ed altri gruppi che cercavano di farsi conoscere mettendo in vendita le loro opere.
Tutte le persone presenti, comunque, erano estremamente specializzate, ed hanno contribuito a rendere l’evento abbastanza unico per l’Italia. Quella che abbiamo avuto modo di osservare è indubbiamente una scena estremamente vivace, fervida, profondamente motivata dal punto di vista artistico, consapevole di aver trovato le proprie radici culturali nel moderno Romanticismo letterario e musicale.
E veniamo ad una descrizione delle varie performances della due giorni del festival, certamente non evento mediatico in Italia, ma genuina espressione di una fervida cultura underground.

28 aprile 2012:

L’Effect C’est Moi: I Cavalieri Erranti

★★★☆☆

La kermesse inizia con il concerto di questo ensemble dal nome francese ma formato da artisti delle Marche. Il suono, collocabile all’interno dello stile Martial/Neofolk/Neoclassical colpisce subito per le tonalità drammatiche e fortemente evocative che traggono ispirazione dal mondo medioevale e dalle sue ancestrali melodie.
Il leader del progetto, Emanuele Buresta, ha definito la loro musica, in termini filosofici, come rapporto dialettico tra elemento dionisiaco ed apollineo: ad una prima fase immediata ed istintiva, caratterizzata dalla libertà dell’immaginazione, corrisponde uno stadio finale più razionale, fin quando i due elementi si sovrappongono; si è detto inoltre ispirato dalla filosofia nietzschiana.
Il set animato da chitarra, flauto, percussioni metalliche in forte evidenza si rivela indubbiamente coinvolgente ed evocativo: il gruppo esegue brani tratti da entrambi i lavori sinora pubblicati, il debut album “Tomber En Heros” ed il più recente “Les Voix De L’Apocalypse”. L’uso della lingua francese, nelle opere e nelle track lists del gruppo, sembra una scelta esclusivamente stilistica, di fluidità del linguaggio sonoro, ma che in parte riteniamo dovuta all’ispirazione fornita dai padri spirituali “Derniere Volontà”, notevole ensemble francese di matrice Martial/Industrial.
L’esibizione evoca toni di cupa, drammatica teatralità e la suggestiva location contribuisce a creare un’aura di misterioso, arcano esoterismo, quasi rievocando il rumore ed il terrore di due eserciti medioevali che si fronteggiavano in battaglia e nel contempo la misteriosa marcia dei Cavalieri Erranti e dei musici che attraversavano a cavallo l’Europa. I suoni arcani ricordano per certi versi i “Barbara Carmina” dei portoghesi “Sangre Cavallum”, le splendide tonalità Dark Folk, ove il flauto è in grande evidenza, unitamente ai timpani marziali, rammentano gli “Ataraxia”. In particolare, rifulgono i brani “Splendide Est Ta Beautè”, epica, dall’impatto fortemente marziale, “Pas De Parade”, nella sua lirica solennità, e “Memoria, In Terris”, con passaggi eterei alternati a zone d’incubo.

Der Blaue Reiter: L’Incanto Funebre

★★★★☆

Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro), duo catalano di matrice DarkWave/Industrial/Neoclassical, formato da Sathorys Elenorth e Lady Nott, ci ha regalato la performance più esaltante ed insolita della rassegna. La denominazione dell’ensemble trae ispirazione dal movimento di artisti espressionisti formatosi a Monaco di Baviera nel 1911, i cui nomi più famosi furono Kandinsky e Klee: detto movimento artistico si caratterizzò per il rapporto dialettico e l’antitesi con il Cubismo; di indirizzo fortemente spiritualistico, esso vedeva la creazione artistica come insieme di linee cromatiche ispirate dalla musica.
Un suono potente ed elegiaco, caratterizzato da forti percussioni ed atmosfere cupe e malinconiche ci ha sin dall’inizio della performance avvolto in una sarabanda di emozioni mettendo in mostra una grande forza evocativa di atmosfere tenebrose, intrise di moderno romanticismo e di pregnanza esistenzialista.
Il primo brano presentato è “The Beginning of the End”, tratto dal più recente album del gruppo, “Nuclear Sun”, brano lirico e avvolgente, quasi un manifesto programmatico, dal punto di vista artistico, in quanto evoca la eterna dialettica del Principio e della Fine, Alpha ed Omega, la Vita e la Morte, seguito poi da “The Grave of Mankind”, tratto dallo splendido album “Le Paradise Funebre-L’Envers du Tristesse”, caratterizzato da percussioni potenti, e da un senso di pathos decadente e suggestivo.
In “Eyes of The Lost”, dall’album “Silencis”, su di un dolente ed evocativo sottofondo dark ambient, si leva la voce di Sathorys Elenorth, monito alla solitudine esistenziale ed al dolore degli uomini, molto spesso determinato dalla meschinità di altri uomini.
“First of May”, da “Nuclear Sun”, dove alla maestosità dell’inno sovietico fa da contrappunto la drammatica consapevolezza della tragedia di Chernobyl, con il suo carico di morte e distruzione è costituito da una cascata di suoni “Ambient” di grande impatto e potenza evocativa. “Garden of Solitude”, ancora dal capolavoro “Le Paradise Funebre-L’envers du Tristesse”, è romantica e dolente, le note del piano risuonano cristalline sovrastando voci lamentose, con forte impatto emozionale.
La stupenda “The Fall of Light”, ancora da “Nuclear Sun”con le due voci recitanti su di un sottofondo di piano, tastiere e percussioni, è la visione della Città Fantasma, la consapevolezza della Caduta, della Morte imminente, dell’ineluttabilità del Destino, degli occhi che si perderanno, che non vedranno più la Luce.
Dopo un’ossessiva e martellante “Fourth Reactor”, il terribile, micidiale reattore che esplode, portando via le vite dei bambini di Chernobyl, cui l’intero album “Nuclear Sun” è dedicato, dalle sonorità rumoristiche di matrice prettamente Industrial, è la volta di “Walking to The Abyss”, solenne, evocativa, ove il violino di Lady Nott rifulge di estasi creativa: l’Olocausto nucleare in tutte la sue drammatiche conseguenze è svelato, il percorso verso la fine di tutto è cadenzato da un intenso recitativo.
E’ la volta di “Libertè”, il bellissimo inno per la libertà della Catalogna, dopodichè “End Credits-In Memoriam, da “Silencis” chiude, con un intenso, etereo lirismo che si posa su maestose percussioni, questo splendido concerto.
Figli dei grandi poemi di Byron e di Shelley, interpreti di un moderno, funereo Romanticismo, i due musicisti catalani sanno raggiungere livelli di grande spessore poetico, con un pathos maestoso ed avvolgente, che coinvolge ed emoziona profondamente. Il loro è certamente uno dei più grandi gruppi europei di Musica Neoclassica Contemporanea, e l’ovazione ottenuta al Villa Festival lo conferma.

Owls: Sinfonia dell’Apocalisse

★★★☆☆

Tony Wakeford, il grande menestrello inglese del Folk apocalittico e sinfonico, già con i Crisis ed i Death in June, fondatore del progetto “Sol Invictus”, cardine del Neofolk britannico, si è unito al tastierista Lorenzo Fornasari, già coinvolto in un progetto con Giovanni Lindo Ferretti ed al chitarrista Eraldo Bernocchi per costruire il progetto Owls.
.Quest’ultimo, già partecipe di un recente progetto con Robin Guthrie e Harold Budd, è un virtuoso della chitarra, utilizzata con sonorità di tipo ambient.
La performance è eccellente e fascinosa, anche se un po’ discontinua (Bernocchi mostra qualche disappunto per la non perfetta accordatura della sua chitarra): “Hyde and Seek” è forte ed efficace, la voce di Wakeford è dolce ma imperiosa, il suono è avvolgente, quasi un impasto formidabile di Dark Wave, Trip Hop e Neofolk, così come “The Night Stays”, meditabonda elegia con la voce del menestrello in bella evidenza.
Ma non c’è imitazione di altri gruppi, la rivisitazione e l’incrocio tra i generi viene portata avanti con sensibilità ed originalità.
Wakeford pone la sua esperienza ed il suo carisma a servizio dell’ensemble, con toni elegiaci di grande impatto emotivo.
Così in “I Am” c’è l’incontro suggestivo delle due chitarre, quasi a ricreare un drammatico effetto Joy Division, ed in “All Gone” la voce di Wakeford si incrocia con i toni gutturali di Lorenzo Fornasari, che sembrano provenire da un primordiale misticismo sciamanico, rammentandoci sonorità alla Nick Cave.
I tre musicisti trovano miracolosamente un amalgama, rendendo la performance, nonostante qualche problema tecnico, godibile ed interessante.

Desiderii Marginis: Un oscuro scrutare

★★★☆☆

Lo svedese Desiderii Marginis, alias Johan Levin, solo project proveniente dall’etichetta Cold Meat Industry, maestro del Dark Ambient/Industrial allestisce all’interno di una cripta, una specie di cantina a volte di roccia della Villa un set di video-installazioni, costituite da lugubri slide fotografici accompagnati dal suono elettronico di loop, drones, e campionatori varii..
Utilizzando slide (per lo più) in bianco e nero di gelida bellezza, l’etereo musicista propone “In Harm’s Way”, dai cupi tratti sinfonici, quasi un moderno, catacombale esorcismo del male del nostro tempo.
Più aspra ed avvolgente “The Love You Find in Hell”, di classica matrice dark, con loop e drones in bella evidenza, e nella seconda parte una chitarra che entra lentamente ad interagire col suono elettronico.
“Forlorn I”, sembra un viaggio nell’abisso ove incontrare i fantasmi e gli incubi della nostra epoca, ravvisabili nelle immagini di volti, coltelli, fabbriche abbandonate che scorrono lentamente sul video, unitamente a suggestivi spezzoni di cult movies anni sessanta.
“Silent Messenger” è un presagio di morte, un teschio violaceo appare sullo schermo: il brano è funereo, campane a morto si sentono in sottofondo, su di un tappeto di suoni quieto ma non privo di una sua solennità.
Si esce dal concerto, che conclude la prima giornata del Festival, a notte fonda, con un senso di sottile angoscia: l’impressione che ci rimane è quella di aver assistito ad una stravolta seduta psicoanalitica, che libera gli spettri dell’inconscio.

29 aprile 2012

Ouroboros: Ritualità Pagane

★★★☆☆

Ritorniamo nella suggestiva cripta, indubbiamente adatta per la performance cui stiamo per assistere.
Ouroboros (Serpens qui Caudam Devorat, di ispirazione alchemica), il progetto di Marco Grosso, non è un concerto in senso stretto, bensì una vera cerimonia esoterica.
Egli con una veste bianca da sacerdote pagano, accompagnato dalla magnifica pianista e cantante Verdiana Raw, dà vita ad un vero rito alchemico/iniziatico: con un potente recitato in latino, evoca la protezione dei quattro elementi della Natura, terra, acqua, aria, fuoco, insistendo in particolare nella venerazione di quest’ultimo elemento.
Verdiana Raw esprime, a tratti, un canto cupo e solenne, con tonalità di voce che ricordano quelle di Diamanda Galas.
I gesti del cerimoniere e della sua compagna sono lenti, e richiamano alla mente antichi rituali pagani; il tutto viene proposto su di un tappeto di suoni dark ambient di grande suggestione, su cui si inseriscono il pianoforte, suonato con tecnica sperimentale, ed un violino.
L’atmosfera è sospesa, gli spettatori attoniti, non ci si aspettava di assistere ad una performance così insolita ed intensa, che va molto oltre l’ordinario concerto.
Tra le composizioni presentate, la suggestiva “Centrum in Trigono Centri”, esplicito riferimento alla Porta Alchemica di Roma, fatta costruire intorno al 1680 dal Marchese Palombara, grande esperto di Alchimia, “Veritas”, “Cultus Caini”, e la bellissima “Janua Inferi”, nata recentemente dalla collaborazione tra i due artisti.
La denominazione del combo, Ouroboros, Il Serpente che si Morde la Coda, deriva dalla concezione alchemica che rappresenta la raffigurazione animata del Cerchio, del Rotondo, della Totalità: simbolo dell’Armonia e della Trasformazione, esso contiene il Tutto. La performance cui abbiamo assistito ci lascia un senso di stupore ed appagamento, come se fossimo stati introdotti ad un sapere iniziatico, misterioso e, nello stesso tempo, inquietante.
Rosa Rubea: Il Fascino dell’Esoterismo

★★★☆☆

Rosa Rubea costituisce un ambizioso, coltissimo progetto di Daniela Bedesky, vocalist dalle eccezionali doti, da anni con Camerata Mediolanense e Pino Carafa, già autori di “The Fire and The Rose”, splendido album intriso di arcane, eteree sonorità, e fortemente pervaso da cultura alchemica, ispirato da un brano di Thomas Stearn Elliott, ove il Fuoco dello Spirito e la Rosa, purezza dell’anima, si abbracciano conquistando l’amore universale. Ed è attraverso la Rubedo Alchemica che, nella concezione esoterica dei due musicisti, si realizza un viaggio materiale e spirituale nell’anima dell’uomo, a compimento di un percorso iniziatico. I quattro elementi, aria, terra, fuoco, acqua ritornano a costituire un percorso artistico che ridefinisce il concetto di Morte e Rinascita. La concezione Ritomodernista, che sottolinea l’antico legame tra l’Arte e la Cultura, ne riscopre la funzione educatrice, favorendo il percorso per la conoscenza del sacro. E’ anche concezione poetica, fortemente trascendente e catartica, ove l’Artista viene visto come uno sciamano in grado di riconoscere e rivelare l’Assoluto.
L’ensemble, pur nell’assenza forzata di Pino Carafa, soprattutto grazie al magnetismo della vocalist, soprano proveniente dalla Musica Classica, avvolta da vesti rosso vermiglio, offre una performance di grande pathos e non priva di una sottile fascinazione.
L’intensità della sua voce ricorda a tratti Kate Bush, offrendoci forti sensazioni ed una costante aura di sognante suggestione. Essa si dipana su di un sottile tappeto elettronico, arricchito dal suono del violoncello di Zeno Gabaglio e dal piano lirico e sognante di Marco Bosio.
Ci rimangono impresse la poesia in musica di Daniela, “Tra l’Urlo e il Canto”, l’eterea, sognante “Parfaite Beatitude” e lo splendido traditional “The Twa Corbies”, macabra ballata scozzese, nella quale due corvi divorano lentamente un cavaliere che giace al suolo, morto, mentre la sua dama ne ha già scelto un altro. Dalla morte, attraverso i due corvi, nasce nuova vita. La Classicità si unisce, in questa Band, al suono dell’Avanguardia, creando ipnotiche atmosfere di indubbia sapienza e notevole fascinazione.

Of The Wand And The Moon: Lo Splendore delle Tenebre

★★★★☆

I danesi Of The Wand And The Moon vengono a chiudere nel migliore dei modi questo splendido Festival, offrendoci una performance all’altezza della loro fama di rappresentanti della più originale commistione di Neofolk, Gothic Rock ed Industrial Music.
Il vocalist e chitarrista Kim Larsen, anima del gruppo, in passato front-man del gruppo metal Nocturnus, autore delle musiche, è un introverso personaggio, che ostenta, anche in numerose interviste, la sua concezione misantropica dell’esistenza, ed afferma di aver trovato nel Neofolk, intreccio suggestivo di sonorità pagane e medioevali, la cifra espressiva e stilistica più idonea alla sua anima, a seguito dell’ascolto del capolavoro dei Current 93, “Thunder Perfect Mind”, e dei grandi album dei Death in June, che considera i suoi ispiratori.
Accompagnato da una line up di cinque elementi (di cui alcuni provenienti dai tedeschi Sonnie Hagal), Larsen ha mostrato immediatamente il suo fascino ipnotico e le sue straordinarie capacità espressive.
Splendido l’inizio con le ipnotiche “A Cancer Called Love” e “Here’s an Ode”, quest’ultima dall’album “Sonnenheim”, ancestrale inno di amore e misantropia di pagana musicalità, ove rifulge la splendida e sognante chitarra di Larsen.
Decisamente diversa “Sunspot”, dall’ultimo album “The Lone Descent”, dal tono dark ambient ed industrial, con la voce malinconica accompagnata da suoni cupi evocativi, e da chitarre lontane, mentre su di uno schermo laterale scorrono inquietanti immagini in bianco e nero di follia ed alienazione.
“Hold My Hand” è una armoniosa e meditativa ballata, dove torna protagonista la chitarra, che ricorda molto lo stile dei Death in June.
“Tear It Apart”, dolce e meditativa, rifulge ancora del suono della chitarra, insieme al violino e basso, con conclusione pianistica, con effetti di grande suggestione. “A Pyre of Black Sunflowers”, su di un tappeto di suoni sintetici, ci porta al centro di un magico rituale pagano, ove la malinconica voce di Larsen evoca immagini di grande luminosità. Un brano di grande intensità, come i precedenti, tratto da “The Lone Descent”.
La successiva “Absence”, ancora da The Lone Descent, è un cupo brano di matrice Dark Folk, caratterizzato dalla presenza costante del synth, che descrive l’alienazione della discesa solitaria, di cui al titolo dell’album., utilizzando sullo schermo immagini dal film Taxi Driver.
“I Crave for You”, dall’album “Nighttime & Nightrhymes”, con intenso lirismo, canta un’implorazione d’amore ed il dolore della sua perdita, richiamando affascinanti immagini di riti notturni con incenso e luci fiammeggianti
Ancora pire di fuoco risplendono in “Hollow upon Hollow”, dall’album “Sonnenheim”, tragica ballata di Folk Apocalittico, ove vengono rievocati antichi sacrifici di sangue, e si ascoltano ancestrali urla predicatorie. Sullo schermo laterale splendide immagini espressioniste, in bianco e nero, che sembrano ispirarsi al capolavoro di Murnau del 1922, “Nosferatu”: una vampira con un nero mantello attraversa lentamente un corridoio, superata un’arcata si sdoppia, le sue braccia si dividono, le sue mani si ricongiungono, con effetti visuali di onirica suggestione.
E’ la volta di “Lost in Emptiness”, tratto da “Emptiness, Emptiness, Emptiness”, uno dei brani più lirici ed avvolgenti della Band, piena di arcano fascino esoterico, depressiva e solenne, seguita da “Immer Worwarts”, ancora da “The Lone Descent”, solare ed avvolgente, maestoso intarsio di suoni neofolk, ma contrassegnata dalla tristezza originata dalla perdita dell’amore.
“Wonderful Wonderful Sun”, dall’album “Sonnenheim” è un accorato inno pagano allo splendore del sole, ove aleggia un triste ed acre odore di morte; accompagnato a video da plastiche immagini di corpi devozionali intenti in riti sacrificali, il brano è certamente debitore del tragico e profondo “Rose Clouds of Holocaust” dei maestri Death in June.
“We are Dust”, ancora da “The Lone Descent”, avvolgente e caratterizzato da intenso lirismo, è un apocalittico inno alla inesorabile caduta delle nostre illusioni: noi siamo polvere, il sole svanirà, noi ci perderemo.
“The Lone Descent”, cupa e catacombale, dà il titolo all’omonimo ultimo album, che sostanzialmente è stato riproposto per intero, ed ha un taglio maggiormente industrial, pur non discostandosi dalle arcaiche sonorità folk apocalittiche proprie dell’ensemble, dove il destino è la soccombenza di fronte al vuoto cui porta la solitaria discesa.
La conclusione è affidata alla splendida “My Devotion Will Never Fade”, da “Emptiness, Emptiness, Emptiness” che suggella, con un incanto di tastiere che accompagnano l’aspra poesia di Kim Larsen, un concerto straordinario: la Band si congeda con un’ovazione del pubblico.

Una due giorni di grande intensità, certamente per addetti ai lavori, dove abbiamo avuto modo di mostrare il nostro apprezzamento a molti Musicisti, e scambiare con essi valutazioni, tra cui i più disponibili si sono dimostrati i componenti del combo catalano “Der Blaue Reiter”, ai quali abbiamo evidenziato l’intenso lirismo e la forza evocativa della loro performance, ottenendo interesse da parte loro per l’attività del nostro magazine.
Dai commenti di molte persone presenti, tra cui uno degli organizzatori, Jacinto Olivelli, abbiamo potuto constatare la somiglianza dell’atmosfera di questo piccolo Festival con quella del grande “Gothic Treffen”, che ogni anno si svolge a Lipsia, ed al quale partecipano migliaia di persone.
Ma, purtroppo, non possiamo che rilevare che nel nostro Paese, a differenza che nel Nord Europa, la moderna cultura romantica, con la sua concezione della valorizzazione dello Spirito Umano e dell’Immaginazione, è quasi del tutto assente nei media, come se ormai l’Umanesimo fosse privo di senso; conseguentemente, essa non può che vivere in uno situazione eternamente catacombale.
In un paese che ha dato i natali a poeti immortali come Ugo Foscolo, e che per la bellezza delle sue città d’Arte e la presenza di opere meravigliose non ha quasi uguali al mondo, suona assurdo che un periodo così importante per lo sviluppo spirituale dell’uomo, che investì la Letteratura, l’Arte, la Musica e le stesse Scienze, sia quasi solamente reperibile nei testi scolastici dei licei classici. Anche la follia, il sogno, la visione, l’ignoto, la passionalità ed i sentimenti sono essenziali per la crescita e l’equilibrio interiore della mente umana, ed ancora oggi possono arricchire la nostra vita spirituale e materiale.

Reportage e foto di Dark Rider

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