Ago 052012
 

Guidonia, 12 – 15 luglio 2012

Il Fairylands Celtic Festival di Guidonia è ormai divenuto evento culturale nel Lazio: di anno in anno l’organizzazione è migliorata e l’afflusso del pubblico si è rivelato costantemente crescente.
Negli anni settanta/ottanta nel nostro paese c’era stata una notevole diffusione della musica folklorica di matrice celtica, sull’onda dei grandi films che la riproponevano, come “The Dead” capolavoro di un John Houston che, ridotto su di una sedia a rotelle, ormai morente, aveva voluto celebrare la sua amata terra con quest’opera suggestiva dedicata a James Joyce, o “Barry Lindon”, il misconosciuto capolavoro di Kubrick e ben più tardi “Titanic” che conteneva oltre alle arie commerciali di Celine Dion anche un vero set di musica irlandese suonato a bordo della nave. Successivamente, dette suggestive sonorità, la cui caratteristica era la grande fascinazione lirico melodica, conobbero un certo declino.
Si sciolsero così i “Roisin Dubb”, magnifico ensemble nato da gemellaggio italo irlandese e formato da componenti di ambedue le nazioni, che ebbero un grande successo a vari festival di Dublino, mentre i bravissimi “Whisky Trail” modificarono in parte l’impostazione delle loro sonorità, pescando nel panorama della “World Music”; sottotraccia, però, soprattutto nel Nord d’Italia, dove le radici culturali celtiche sono più presenti, il fenomeno di rielaborazione della tradizione folklorica non si interruppe mai del tutto.

Così anche quest’anno la città di Guidonia ha voluto rilanciare ed ampliare questo genere di musica di grande suggestione, fortemente evocativo, insistendo nella felice scelta della location, situata nella centralissima pineta della cittadina, ove è stato ricostruito un angolo d’Irlanda, con tanto di Menhir e numerosi stands di libri e cd basati sulle arcaiche e fascinose tradizioni di elfi e di gnomi, di fate e di streghe.
Abbiamo avuto l’opportunità di assistere ad una intera, intensa serata, presenziando a tre concertiche hanno evidenziato come una nuova generazione di artisti italiani si sia fatta ormai totalmente contaminare da dette sonorità.

Alarc’h: Il Canto delle Fate

★★★☆☆

Il duo forlivese Alarc’h (che in lingua bretone significa cigno) è composto dall’arpista Marta Celli (in arte Folinfulina) e dalla cantante e bodhranista Bonny Swan, provenienti da esperienze diverse nell’ambito della ricerca folklorica, la prima attraverso varie esperienze nel Nord Italia ed in Romagna, la seconda prevalentemente in Bretagna, ove ha perfezionato gli studi del canto, del violino e delle percussioni.
Le due musiciste, incontratesi nel 2009 hanno dato alla luce uno splendido album nel 2010, “The Rambling Tree”, che proviene dall’incrocio fecondo tra la tradizione musicale irlandese e quella bretone, che hanno riproposto pressoché per intero nella serata del Fairylands Festival.
La loro performance è stata fortemente lirica ed avvolgente, il suono dell’arpa e del flauto, unitamente alla bellissima voce di Bonny Swan, hanno conferito all’atmosfera un incanto ed una magia uniche.
“The Foggy Dew”, classico traditional irlandese, che qualcuno ricorderà nella versione di Sinead O’ Connor insieme ai Chieftains, eseguito splendidamente, ci ha trascinato in un mondo incantato, ricordandoci le melodie della grande artista canadese Loreena Mc Kennitt.
Altra perla della tradizione irlandese è “The Maid Who Sold Her Barley”, che dall’incrocio tra canto ed arpa evoca ancestrali melodie con l’effetto di provocare arcaiche suggestioni, mentre “The Blacksmith/Tuttle Reel” è soffusa ed incantevole e un lungo assolo dell’arpa la distingue dalle interpretazioni classiche del brano da parte di vari musicisti irlandesi, più orientati su chitarre e percussioni.
“She Moved Through The Fair”, solo voce ed arpa, ha un suo fascino, ma risente forse del paragone con la splendida interpretazione a suo tempo fornita dalla Mc Kennitt; gli altri brani, però, rifulgono comunque dell’incanto del suono del flauto e dell’arpa, contribuendo a rendere originali le melodie sapientemente rielaborate dalle due musiciste, ma certamente ben note nella tradizione gaelica. In particolare “The Wind That Shaker the Barley” (tutti ricorderemo il bellissimo, omonimo film di Ken Loach, lezione di storia irlandese) è interpretata in maniera eccellente, con passione ed inventiva.
“Morrison’s Jig” è trascinante, affascinante, splendidamente evocativa nei giochi di arpa e voce, e viene salutata da una ovazione dalla gente assiepata nel parco, che tributa un definitivo omaggio alle due giovani incantevoli fate.

Valerio Vettori e Stefano Boldrin: Virtuosismi Celtici

★★½☆☆

Polistrumentisti di classe, reduci da numerosi viaggi in Irlanda ove hanno appreso con rigore la tecnica del suono di vari strumenti, Valerio Vettori e Stefano Boldrin hanno offerto nell’ambito del Fairylands Festival una perfomance preziosa e suggestiva.
La loro tecnica è sopraffina, frutto di innumerevoli sessions con diversi celebri interpreti dell’Irish Folk: al pubblico hanno offerto una lunga serie di reels, jigs, hornpiper e polche per ballare (ed infatti alcuni spettatori si sono lanciati nelle danze), che dimostrano il loro straordinario amore per l’Isola Verde, ed i profondi legami culturali che li legano ad essa.
Vettori, in particolare, è uno studioso della cornamusa irlandese, della quale è diventato eccellente conoscitore, nonché di strumenti a fiato, mentre Boldrin è esperto di banjo tenore e mandolino.
La loro performance ha ripercorso gran parte dei brani della tradizione irlandese, con indubbia maestria, coadiuvata da una tecnica eccellente, ma il loro virtuosismo, privo tra l’altro di una voce per il canto, è sembrato un po’ fine a sé stesso, ed a volte un po’ di maniera.

Morrigan’s Wake: L’Anima dell’Irlanda, il Sogno della Scozia

★★★☆☆

Diversa, e ben più positiva impressione ci ha lasciato la coinvolgente esibizione di “Morrigan’s Wake”, ensemble formatosi a Ravenna trent’anni fa, che trae nome ed ispirazione dalla dea pagana irlandese Morrigan (Regina dei Demoni), da cui sembra sia nato il mito di Fata Morgana. Il gruppo si formò per la comune passione dei suoi membri per le ballate della resistenza irlandese e per le danze bretoni, allargando via via l’attenzione verso le musiche da ballo scozzesi, gallesi e della medesima Irlanda.
L’ensemble rivolse in seguito l’attenzione e la sua ricerca verso le analogie, certamente riscontrabili, tra la musica celtica del Nord Europa e quella dell’area celtico-padana, sino a dare impulso alla creazione di un festival, tenutosi per sette anni, intitolato “Dagli Appennini all’Irlanda”, dove si sviluppò la ricerca etnico musicale, al fine di promuovere la conoscenza e la diffusione della musica acustica e folklorica di detta matrice.
Il gruppo è inoltre autore di ben cinque albums, che spaziano, con occhio costantemente rivolto alla originaria tradizione pagana, dal tributo alla grande musica da ballo scoto irlandese sino alla tradizione propria della vasta emigrazione irlandese e scozzese al di là dell’Oceano; il penultimo album, “Back to Fireland” in particolare vuole chiudere una ideale tetralogia degli elementi della natura, terra, acqua, aria, fuoco, celebrando nel 2006 il venticinquennale dell’attività compositiva della band. In esso viene focalizzata l’attenzione sull’elemento fuoco, visto come passione amorosa, fervore politico, ricerca incessante della realizzazione dei propri sogni, riscoperta dei sacri fuochi della gente celtica.
L’ultimo album, “Mirrors” nasce dall’esigenza di celebrazione del trentennale dell’ensemble e propone una eccellente rielaborazione di alcuni dei brani più conosciuti della tradizione scoto-irlandese.
La convincente performance del gruppo ha riproposto in particolare molti brani dall’ultimo album, dall’avvolgente “The Wind That Shakes The Barley”, splendido, glorioso traditional irlandese, di cui sopra abbiamo fatto cenno, alla lirica ed allegra “Are Ye Sleeping Maggie/The Noose and The Collie”, ballata scozzese, proseguendo con la triste e lirica “Paddy’s Lamentation” e proponendo molte jigas e reels, che hanno coinvolto spesso il pubblico in danze festose, con tecnica eccellente e una notevole dose di pathos.
Lo stile e le qualità eccellenti dimostrate da “Morrigan’s Wake” hanno assimilato l’ensemble alle splendide performance dei migliori gruppi irlandesi, come gli storici “Planxty” di Christie Moore o i “De Danaan”, o gli scozzesi “Tannahill Weavers”. Il suono nitido ed avvolgente e le notevoli capacità vocali di Tiziana Ferretti hanno messo in luce una passione genuina per la tradizione musicale celtica ed una professionalità veramente senza pari, almeno nei gruppi italiani che attualmente si rifanno a dette sonorità. Altro merito del gruppo è il grande rispetto per la tradizione celtica: i suoni vengono sapientemente rispettati e rielaborati alla luce della classicità, utilizzando in prevalenza chitarra acustica, violino, flauto dolce, bodhran, fisarmonica e voce, senza inutili pretese di aggiornamenti con strumentalità moderne, con l’effetto di richiamare alla memoria l’incanto e la magia delle grandi Bands che negli anni settanta ed ottanta riscoprirono la grande tradizione delle loro terre.
A seguito della avvolgente, poetica “The Maids of Mitchelstown”, un classico strumentale della tradizione dell’Isola di Smeraldo, la performance si è conclusa ed una vera ovazione ne ha suggellato la piena riuscita: tra una pinta di birra ed una di sidro la serata si è conclusa con grande allegria, in perfetto stile da pub irlandese.

Recensione e foto di Dark Rider

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