Ago 092011
 

Roma, Cavea Auditorium, 25 Luglio 2011

★★★★☆

Ve lo devo confessare: avevo sentito Lou Reed 3 settimane fa all’Hammersmith Apollo di Londra in un concerto pur sempre meraviglioso e struggente – ancora più di Roma, ma questa è una visione soggettiva dettata dallo stato d’animo del momento e dall’approccio emotivo al concerto (e forse anche dal tasso alcolico…) – e l’avevo dato per spacciato. Si reggeva a mala pena in piedi, metà delle canzoni le ha fatte senza chitarra e nel bis ha suonato solo un pezzo. Roma per fortuna mi ha fatto ricredere. Sì, i problemi con le gambe ci sono, ma per il resto lo stato di forma era decisamente migliore di quello londinese. Ha suonato per tutti i pezzi la chitarra, tranne che per la parentesi acustica di 2 brani, regalando anche soli rumorosi vecchia maniera. Ho rivisto quindi i miei pronostici: forse questo non sarà il suo ultimo tour, o almeno lo si spera.
Il nostro Transformer si è donato per un’ora e 50 al pubblico dell’auditorium, abbastanza caloroso, anche se quando si sta seduti non è mai la stessa cosa. Una scaletta abbastanza uguale alle precedenti : rispetto a Londra, per esempio, l’unica differenza è stata “All through the night” al posto di “Temporary thing” oltre ai due pezzi in più suonati nel bis. Si parte con “Who loves the sun”, prima traccia di “Loaded”, album dei Velvet Underground più loureeddiani di sempre. Si prosegue sull’onda allegra di “Senselessly cruel”, un pezzo del 1976 che Reed ha ripreso a suonare negli ultimi anni, e una lunghissima “All through the night”, in cui un ipnotico e filastrocchesco riff di sax la fa da padrone e in cui anche Reed mostra di saper ancora rumoreggiare con la chitarra. Con “Ecstasy” si entra nel profondo e la dedica nel mezzo del pezzo è per Amy Winehouse, recentemente scomparsa. Ci tiene a ripeterlo Lou Reed, perché troppe volte ha rischiato lui di trovarsi come la cantante inglese. “Small Town” è una splendida chicca da “Songs for Drella”, album scritto a quattro mani con John Cale, il grande compagno di quella band che ha cambiato il corso della storia. Il ritmo trascinante di questo brano è accompagnato da un testo geniale dedicato a Andy Warhol, che veniva da Pittsburgh, la small town di cui Reed canta. Dopo l’addio alla propria cittadina di origine segue l’addio alla propria famiglia: segue, infatti, una struggente versione di “Mother” di John Lennon, poesia allo stato puro. “Venus in furs” inizia una triade spettacolare, tutta proveniente dal primo album dei Velvet Underground, quello della banana warholiana. La prima è uno spettacolo raro dettato dal violino dell’ottimo Tony Diodore. Se si chiudono gli occhi per un attimo si torna a New York alla fine degli anni ’60. Le altre 2 gemme sono acustiche: “Sunday morning”, meravigliosa, con un finale da brividi solo chitarra e voce, e “Femme Fatale”, in cui non si riesce a non cantare il ritornello che all’epoca fu di Nico. “Waves of fear”, brano dell’82 riapparso solo quest’anno nelle scalette, fa da ponte con un altro classico, forse il più classico dei Velvet Underground: “Sweet Jane”. Annunciata da una lunga intro crea il panico tra il pubblico, finalmente in piedi a ballare. Finisce così la prima parte del concerto. Ma c’è tempo ancora per tre canzoni nel bis: “Charley’s girl”, un divertente clone di “Walk on the wild side” (grande assente dai live degli ultimi anni), “The bells”, lunghissima e bellissima, in cui Lou presenta la band che si prende gli applausi tanto meritati, e una splendida “Pale blue eyes”, brano anch’esso dei Velvet Underground, suonata solo con contrabasso, chitarra acustica, tamburello e Reed alla chitarra elettrica. Finisce così anche questa serata di grande musica.
Lou Reed incarna la semplicità del rock. Lui e la sua musica sono spontanei, essenziali, a tratti elementari. E Lou ogni volta ci ricorda che il rock sono 3 accordi, alle volte anche 2 ripetuti all’infinito con una voce quasi parlata e neanche intonatissima, sbiascicata lì sopra. Ma dietro tutto questo c’è un enorme strato di poesia. Infinita poesia.

Live report di Alessandro Lepre

Scaletta:

Who Loves The Sun (The Velvet Underground)
Senselessly Cruel
All Through The Night
Ecstasy
Small Town
Mother (John Lennon)
Venus In Furs (The Velvet Underground)
Sunday Morning (The Velvet Underground)
Femme Fatale (The Velvet Underground)
Waves of Fear
Sweet Jane (The Velvet Underground)

Charley’s Girl
The Bells
Pale Blue Eyes (The Velvet Underground)

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