Dic 072010
 

8 DICEMBRE 1980 – 8 DICEMBRE 2010


Elenco dei motivi per cui voglio ricordare e celebrare John Lennon a 30 anni dalla sua morte

1. “I Am The Walrus”
2. la sua barba, i suoi capelli e il suo cappello nelle foto del 1969 a Tittenhurst Park
3. il Bed-In e “Give Peace a Chance”
4. gli occhiali tondi
5. quando strizzava gli occhi perché per questioni di look non poteva portare gli occhiali
6. la sua voce e il suo strano accento
7. perché le sue canzoni sono più belle di quelle di Paul McCartney
8. perché i suoi testi sono più belli di quelli di Paul McCartney
9. perché “We’re more popular than Jesus now”
10. “All You Need Is Love”
11. perché è uno di quei pochi esseri umani del Novecento che non esiterei a definire un profeta
12. il modo in cui imbracciava, o meglio abbracciava, la chitarra
13. la voce raffreddata e le stecche in “Twist and Shout”
14. il testo di “Imagine”
15. Jai Guru Deva Om in “Across The Universe”
16. perché è stato ucciso
17. perché la tragedia della sua morte ci ha permesso di trasformarlo in un idolo intoccabile, come meritava, invece di vederlo invecchiare come Paul
18. “Working Class Hero”
19. la foto con John nudo che abbraccia Yoko Ono vestita, scattata da Annie Leibovitz poche ore prima che John venisse ucciso
20. quando suonando davanti alla regina Elisabetta disse “Would the people in the cheaper seats clap your hands. And the rest of you, if you’ll, just rattle your jewelry.”
21. “Strawberry Fields Forever”
22. “Happiness Is A Warm Gun”
23. “Lucy In The Sky With Diamonds”
24. “Tomorrow Never Knows”
25. “Glass Onion”
26. “Revolution 1”
27. “You’ve Got To Hide Your Love Away”
28. “A Day In The Life”
29. “I Want You (She’s So Heavy)”
30. “Dear Prudence”
31. …

Elenco di Andrea Carletti

Il Poeta del Sogno

Ebbene si, lo riconosco: quando seppi della morte di John Lennon ero in autobus, stavo recandomi al lavoro, e piansi.
Compresi rapidamente che la mia generazione (anche se Lennon era molto più grande di me) era stata ferita a morte da quelle pallottole di Mark David Chapman, che nulla sarebbe stato più come prima.
Perché John, nel nostro immaginario collettivo, rappresentava, nel bene e persino nel male, i sogni, le aspirazioni, i limiti di noi ragazzi degli anni sessanta. Lo vedevamo come il Musicista dell’interiorità, della profondità dei sentimenti, della disillusione dalle fedi e dai dogmi, era il campione dei diritti civili, del “Bed in” per la pace insieme a Yoko, per la quale, a differenza di molti dei fans dei Beatles, io personalmente non ho mai nutrito sentimenti di odio. Se John aveva deciso di legare la sua vita a quella di una donna non particolarmente bella, ma senza dubbio, nel suo gruppo “Fluxus” una delle più creative artiste giapponesi d’avanguardia, qualche motivazione profonda doveva pur esserci.
Avevamo amato i suoi dischi, soprattutto quelli più introspettivi, il primo, aspro e crudo, della fine delle illusioni, il secondo “Imagine”, l’utopia ed il tormento dei sentimenti, sino a sentirli come nostre cose, nostre sensazioni, nostra gioia, nostro dolore. Avevamo ammirato la sua impavida battaglia per i diritti civili, per Angela Davis, per il dramma di Attica, ed eravamo consapevoli che il suo radicalismo, ma anche la sua incessante smania di protagonismo lo avrebbero primo o poi esposto a gravi rischi.
Lo vedevamo come un grande poeta, un uomo impavido, anche se a volte incoerente, prigioniero della sua gabbia dorata, ma interprete e profeta del Pacifismo, ed animato da un afflato lirico genuino e profondo, capace di creare melodie affascinanti e sincopate, esprimendo l’inquietudine, il dolore e la speranza del suo tempo.
Negli anni Ottanta, persino una dettagliata e maligna biografia di Albert Goldman non era riuscita a scalfire la sua fama ed il suo prestigio intellettuale e morale.
Cambiavano i tempi e lui stesso, commentando un disco dei Clash, nel 1980, poco prima di morire, ebbe a sottolinearlo, ammirando la bellezza della musica di un nuovo gruppo Rock di cui intuiva la grandezza, ma criticando il profondo dolore e pessimismo che emanava dalle loro canzoni. L’ingenuo, idealistico pacifismo degli anni sessanta cedeva il passo alla rabbia Punk, all’elegia delle battaglie di strada dei “Ghetto Defendant” prive di speranza .
Morivano gli ideali utopici della generazione del Flower Power, esplodeva la consapevolezza ed il fervore nichilista della successiva generazione del “No Future”, ma rimanevano le liriche immortali del Sogno degli Anni Sessanta, mediante le quali John, insieme a tanti altri poeti, letterati e musicisti, comunicava alle nuove generazioni che la speranza è un diritto, l’Amore e la Pace un dovere, ed il dolore una tragica ed ineluttabile necessità.

Articolo di Dark Rider

Foto di Lovely Rita

Forse non tutti sanno che…

In occasione del trentennale dalla morte e visti i fiumi di inchiostro e musica che verranno dedicati alla sua figura e alla sua opera e visto il mio lato irish voglio contribuire gettando una luce sul lato irlandese di John Lennon.

Forse non tutti sanno che John e Yoko scrissero una “Sunday bloody sunday” dopo l’eccidio dei dimostranti a Derry nel 1972 da parte dell’ esercito inglese. Un biografo dice che Lennon si considerava irlandese, avendo come Paul Mc Cartney un nonno proveniente dall’Irlanda, e crescendo in una Liverpool brulicante di irlandesi emigrati lì dopo la carestia delle patate del 1840. Il brano di Lennon fu ovviamente censurato dalla BBC assieme a quello di McCartney “Give Ireland back to the irish”. Mettiamoci anche che Lennon è O Leannain’ inglesizzato, e si ha un quadro completo. Tutto questo diede alla Fbi motivo di indagare sulla sua attività pacifista ben nota a tutti noi. Il mio pensiero odierno va al John Lennon di oggi, come avrebbe descritto i tempi e le tensioni di questi anni travagliati. Lo vedo ancora sui palchi indomito, voce libera, mente brillante, poeta sopraffino e tutti noi disposti sempre come oggi a perdersi nei suoi mind games…

Articolo di Fabrizio Fontanelli
foto di Fabrizio

Mio fratello maggiore

Può un musicista cambiarti la vita? Bè, magari proprio cambiarla, no ma darle un’impronta, una piega particolare, un indirizzo, forse sì. Può un cantante farti sentire la mancanza di un fratello maggiore? Qui il discorso si fa più complesso e profondo, ma una cosa si può dire: John Lennon mi ha fatto crescere, con affermazioni come ‘Se l’arte ha la possibilità di redimere l’uomo, ciò può avvenire soltanto liberandolo dalla serietà della vita per restituirlo ad una inaspettata fanciullezza’. Una frase che potrei considerare un manifesto programmatico del mio approccio alla vita. Tra i miei 13 e 16 anni John è stato l’ultima voce che ascoltavo tutte le sere prima di addormentarmi, fu quello che consolò le prime pene d’amore grazie ad un prezioso juke-box che ho farcito di monete ascoltando a ripetizione Mind Games per non pensare ad altro; sarà stato poi un caso che il primo giro di basso che ho imparato a suonare fu quello di ‘The Ballad of John & Yoko’? Sì. lo ammetto, il secondo fu quello di ‘Satisfaction’ e sinceramente la soddisfazione nel suonarlo insieme agli altri fu nettamente maggiore, ma qui si parla di inprinting, di un tatuaggio inciso nel petto, di un fuoco che non si è mai spento. La sua morte a soli quarant’anni mi lasciò con un senso di colpa mai provato: come succede con un amico o un parente del quale senza farci troppo caso si perdono le tracce, negli anni che precedettero la sua tragica morte mi ero lentamente ed inesorabilmente allontanato da John, un po’ per la contemporanea esplosione del punk che mi aveva spinto ad altre frequentazioni musicali, un po’ perchè nel frattempo lui si era praticamente ritirato dalle scene e per qualche anno non aveva lasciato traccia musicale di sè.
Lo si poteva vedere di tanto in tanto ripreso dalle telecamere dei telegiornali, sempre accompagnato da Yoko, mentre entrava o usciva dal suo buen retiro, quel Dakota Building non a caso scelto da Roman Polanski nel suo Rosemary’s Baby a simbolo di palazzo che gode di una cattiva reputazione. Devo peraltro confessare di non aver a suo tempo accolto con particolare interesse la notizia della pubblicazione -dopo anni di silenzio e solo pochi giorni prima di quel maledetto 8 dicembre- di un nuovo album, Double Fantasy, preceduto da un singolo dal programmatico titolo di (Just like) Starting over. Tutto ciò non fece che amplificare lo sgomento ed il senso di vuoto provati quando appresi la terribile notizia dalla televisione. Mi sentii ovviamente in obbligo a ritirar fuori tutti i vinili, tutti i testi e gli spartiti delle canzoni. Ne ritrovai una, intitolata I found out, che trovai favolosamente punk ante-litteram e che proposi alla mia band, sempre restia ad accettare di eseguire covers. Di lì a poco però sarei partito per il militare, la band si sarebbe sciolta e non saprò mai come sarebbe stato suonarla con loro, ma mi piace pensare che oggi da qualche parte la stiano suonando insieme i due miei grandi amici/fratelli che non ci sono più, Joe Strummer e John Lennon, lontani per nascita e cultura eppure così incredibilmente simili nella loro autentica ed inarrivabile onestà intellettuale.

Articolo e foto di Fabrizio

(It’s only) Rock and Roll

Della morte di John Lennon non ho grandi ricordi, se non l’esposizione mediatica, ancora lontana dai bombardamenti dei nostri tempi, che l’evento ebbe quella giornata. A malapena sapevo chi fosse, la copertina di un 45 giri che qualche mese prima avevo avuto in dono lo ritraeva mentre baciava un’orientale pure piuttosto brutta cantando (just like) Starting Over. Ho imparato ad apprezzarlo e detestarlo con gli anni, dopotutto era il rompipalle del gruppo, il saccente, il polemico, il politico. Però deve essere stato uno spasso stargli nei paraggi, rileggevo al riguardo gli aneddoti delle registrazioni di Rock and Roll, album che personalmente amo visceralmente per quel gusto genuino di riproporre pezzi di rock and roll con la deferenza di chi del rock ne era il padrone ma sapeva anche riconoscere da chi avesse imparato. E mi immagino quel soggetto di Phil Spector entrare in studio sparando in aria ed i fuggi fuggi susseguente. O il mixer da buttare dopo un gavettone di whisky all’ennesima sbronza. E l’elenco di musicisti, che sapendo della presenza di Lennon a Los Angeles, fecero la fila per poter suonare in quel disco. Saranno smancerie infantili, ma quanto è mancato un personaggio del genere negli ultimi trent’anni……

Articolo di Attilio

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